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Il solito autogol dei democratici: liti pure sulla strategia in Senato

I renziani per il voto, altri per l'astensione. Blitz di Calenda

Il solito autogol dei democratici: liti pure sulla strategia in Senato

Con un'abilità fuori dal comune, il Pd riesce ad attirare i riflettori sui propri diverbi interni, anche quando dovrebbe essere la maggioranza a trovarsi in difficoltà. L'ultimo scontro riguarda un amletico dubbio che spacca in due i dem: votare contro la mozione grillina No Tav, che sarà esaminata oggi a Palazzo Madama, o uscire dall'aula correndo il rischio che sia approvata?

Il capogruppo dei senatori Andrea Marcucci, renziano, aveva deciso la linea con l'avallo del segretario Nicola Zingaretti: il Pd è pro Tav, e si vota contro il testo dei Cinque Stelle. A meno che non si verifichino le condizioni, a dire il vero improbabili, di un cortocircuito tale da mettere in difficoltà la maggioranza. Ad esempio un numero così cospicuo di assenze nei partiti pro Tav da far passare la mozione grillina.

La linea era nota da giorni, e non risultavano contestazioni. Nelle ultime 48 ore, però (e soprattutto su pressione dei social) alcuni esponenti dem hanno accusato i renziani, in maggioranza nel gruppo di Palazzo Madama, di voler fare «un favore alla Lega» aiutandola a bocciare il testo, invece di astenersi «per mettere in difficoltà il governo», come dice Luigi Zanda. Sul contrasto si è tuffato a pesce ieri Carlo Calenda, con tanto di videoappello al Partito democratico: «Se le opposizioni lasciassero questi due buffoni che stanno tenendo il Paese in ostaggio a vedersela tra di loro, allora il governo potrebbe davvero cadere». Viceversa, aggiunge l'europarlamentare, «se deciderà di fare altro, di presentare mozioni, di fare altre iniziative stravaganti, quello che succederà è che avremo salvato questo governo. Facciamolo cadere».

In verità è chiaro a chiunque frequenti le aule parlamentari che il voto di oggi pro o contro la Tav è poco più di una pantomima messa in scena dal partito della Casaleggio nella speranza di trarre in inganno i loro elettori più allocchi. Si tratta di mozioni, che quindi non hanno alcun valore prescrittivo per il governo, che i due alleati di maggioranza non vogliono far cadere e che del resto non si dimetterebbe neppure a cannonate, tanto più che i Cinque Stelle sono stati ben attenti a scrivere una cosa mai letta in alcuna mozione, ossia che le sue disposizioni impegnerebbero solo il Parlamento, e non l'esecutivo. Dando un sostanziale via libera a Conte per mandare avanti la Tav.

Insomma, qualunque fosse l'esito del voto non succederebbe niente, se non un po' di teatrino tra alleati, con regolamenti di conti sui posti (la testa di Toninelli, ammesso che il concetto di «testa» si applichi al soggetto, pare a rischio in caso di sì alla Tav). Ma i dem litigano lo stesso. A Calenda replica il renziano Nobili: «Ancora pensiamo di dividere Lega e M5s? In nome di questa follia non abbiamo presentato la mozione di sfiducia a Salvini, e ora dovremmo rinunciare a sostenere la Tav per la mozione burletta di Di Maio?».

La questione è anche numerica: i 50 «no» mancanti del Pd non basterebbero a far passare la mozione No Tav, sarebbe necessario che anche Forza Italia si astenesse.

«Se lo facessero sarebbe un fatto nuovo di cui tener conto - ragiona il senatore zingarettiano Misiani - noi siamo su questa linea, ma da quella parte non arrivano segnali».

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