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La solitudine dei No Tav abbandonati dai grillini. A Torino un rito stanco

Al corteo sono tanti ma non hanno più voce. Contentino di Appendino: "Opera del passato"

La solitudine dei No Tav abbandonati dai grillini. A Torino un rito stanco

Più diversi, in apparenza, non potrebbero essere: quelli in paltò e questi con le felpe strappate, quelli silenziosi e questi con gli slogan e la musica a palla, quelli per la Tav e questi contro, questi mediamente ragazzotti e quelli mediamente con i capelli grigi. Ieri per le vie di Torino scorre il mondo che non vuole l'alta velocità in Val Susa, a quattro sabati di distanza dalla manifestazione dei 40mila che - sull'onda dell'appello di Mino Giachino e delle ormai celebri «madamine» - chiedevano la prosecuzione dei lavori. Mondi opposti, si direbbe. Eppure a ben vedere li accomuna un guaio non da poco: sono privi di rappresentanza politica. Certo, c'è chi tuba con i ragazzotti di ieri - segnatamente il Movimento 5 Stelle - allo stesso modo in cui la Lega aveva mandato i suoi auguri più fervidi ai 40mila del 10 novembre. Ma vista la faccenda da qui, da piazza Castello, punto di arrivo degli uni e degli altri, è difficile non cogliere la sensazione che laggiù, a Roma, di questa cosa della Tav non importi poi molto. Che non sarà sulla linea Torino-Lione che andrà a deragliare l'alleanza di governo tra grillini e leghisti. E che insomma quelle che qua nelle strade di Torino, ai piedi delle Alpi innevate, appaiono questioni cruciali, temi - da un punto o dall'altro di vista - epocali nel futuro di una comunità, appaiano a Roma destinati ad affogarsi nei riti della politica, e a venire decise infine da dinamiche dove l'ambiente, il lavoro, le speranze conteranno poco o niente. Lo si capisce persino dal messaggio con cui il sindaco Chiara Appendino, che si è ben guardata dal venire in corteo, manifesta il suo pieno appoggio ai manifestanti e ribadisce la sua avversione alla Tav «grande opera che rappresenta un modello di sviluppo del passato». Ma poi aggiunge che «le analisi tecniche, costi-benefici e giuridica, promosse dal governo orienteranno la scelta politica sul destino di questa vicenda», che come promessa suona quantomeno fumosa. D'altronde lo stesso contratto di governo tra 5 Stelle e Lega era, su questo tema, tutt'altro che chiaro.

Così, eccoli qua, i No Tav: tanti eppure soli, proprio come i Sì Tav. Ventimila, dirà alla fine la Questura, ma comunque sufficienti a riempire piazza Castello quanto e più delle pantere grigie del 10 novembre. La Francia è lì, oltre la cima delle Alpi, ma se qualcuno temeva o sperava che l'esempio barricadiero dei gilet gialli venisse seguito su questo versante ha dovuto ricredersi. Già nei giorni scorsi in Questura avevano capito che il sabato sarebbe scorso via tranquillo, anche avversari scomodi come il centro sociale Askatasuna avevano mostrato il loro volto più affabile, e ieri le promesse di pace vengono mantenute appieno, e il corteo fa la sua strada in un clima quasi natalizio: nemmeno un fumogeno, nemmeno una scritta su un muro. Non ci sono quasi bandiere di partito: un paio di partiti comunisti, verosimilmente in competizione tra loro, e quelli di Rifondazione. Nient'altro, solo bandiere No Tav, qualcosina della Cgil, tante bandiere nere anarchiche. Nessuna bandiera grillina, in piazza il più alto in grado dei 5s è Guido Montanari, vicesindaco di Torino, che la Appendino ha mandato a rappresentare la giunta e a prendersi qualche mezzo insulto. Gli anarchici gli hanno gridato «vergognati», ma lui non se l'è presa: «Siamo un corteo di circa 100mila (sic) persone, se uno contesta mi sembra abbastanza ragionevole». Nega che la presenza del M5s sia impalpabile: «Ci sono tutti i consiglieri, gli assessori, il sindaco rappresentato da me: più di così». E Grillo? «Beppe Grillo non so cosa faccia il sabato.

Chiedetelo a lui».

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