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«Sono veri mafiosi» niente libertà per Carminati & C

RomaMassimo Carminati era un vero e proprio «mito», «intoccabile» per la sua storia personale tra Banda della Magliana, Nar e coinvolgimento in grandi processi, dalla strage di Bologna all'omicidio Pecorelli. Era il capo assoluto di un'associazione che si può a tutti gli effetti definire «mafiosa», perché esercitava una «forza di intimidazione» legata alla sua «fama criminale», anche senza «atti di violenza o di minaccia». Infatti, la 'ndrangheta, con cui fa affari, le riconosceva la sua stessa «dignità», trattandola con rispetto.

Tutto questo e molto ancora scrivono i giudici del Tribunale del riesame di Roma, spiegando in 87 pagine perché devono rimanere in carcere Carminati e altri 4 arrestati: Brugia, Gammuto, Testa, Lacopo. Per tutti, è pienamente giustificata l'aggravante mafiosa.

L'organizzazione, dicono le motivazioni, operava nella capitale da anni nei settori criminale, economico e della pubblica amministrazione e si espande dopo «la nomina di Alemanno quale sindaco di Roma». «Molti soggetti collegati a Carminati da una comune militanza politica nella destra sociale ed eversiva e anche, in alcuni casi, da rapporti di amicizia, avevano assunto importanti responsabilità di governo e amministrative nella capitale».

Mafia capitale aveva una posizione monopolistica negli appalti dei servizi comunali da parte delle cooperative di Buzzi e «nessuno (in sede politica o con denunce penali) ha mai osato denunciare il sistema».

Gli «imprenditori collusi», poi, dipendevano «totalmente» dalle scelte «strategiche» del «Guercio».

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