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Da S&P cartellino giallo al governo italiano: la manovra va cambiata

Confermato il rating ma tagliato l'outlook a negativo: nel 2019 il deficit salirà al 2,7%

Da S&P cartellino giallo al governo italiano: la manovra va cambiata

Graziati, ma solo per ora. Standard&Poor's non fa calare la scure sul rating del debito italiano, lasciandoci la tripla B, ma taglia il nostro outlook da stabile a negativo. Segno che, in prospettiva, la situazione è suscettibile di un peggioramento tale da portare, in occasione della prossima revisione del giudizio sul Paese, a un declassamento. D'altra parte, la manovra, oggetto di feroci critiche in seno alla Commissione Ue e finita nel mirino della Bce di Mario Draghi di altri organismi internazionali, viene sonoramente bocciata: «A nostro avviso il piano di politica economica e fiscale del governo italiano sta pesando sulle prospettive di crescita economica del Paese», recita il comunicato che accompagna le decisioni prese. E ancora: «Le impostazioni programmate di politica economica e fiscale del governo - prosegue la nota - hanno eroso la fiducia degli investitori, come riflesso da un aumento del rendimento sul debito pubblico. Ciò a sua volta sta influenzando negativamente l'accesso delle banche al finanziamento del mercato dei capitali e, in misura minore, il loro coefficiente patrimoniale regolamentare». Insomma, tutte le criticità già individuate da più parti e rimaste finora inascoltate dal del governo. Un giudizio tranchant, quello di S&P, corroborato da un numero, anzi dalla madre di tutte le percentuali, nonché oggetto del contendere tra Roma e Bruxelles. Ovvero, il 2,4% del rapporto deficit-pil. Per l'agenzia Usa l'asticella è troppo bassa: le misure che l'esecutivo intende adottare impatteranno sul parametro spostandolo nel 2019 al 2,7%. Un ulteriore sforamento rispetto ai valori già fuori regola della coalizione giallo-verde. A fronte di una politica di eccessivo deficit spending, i provvedimenti enunciati rischiano di essere solo un pannicello caldo: «Lo stimolo legato alle misure potrebbe rivelarsi di breve durata - tranne che per il previsto aumento degli investimenti pubblici - soprattutto dal momento che non sembrano esserci ulteriori riforme strutturali in grado di aumentare la crescita dell'economia». L'unico fatto positivo è che il Paese resta lontano due notch dal girone infernale del «non investment grade». Ma il debito, proprio per effetto di stime di crescita non realistiche (S&P parla di un +1,1% del Pil nel 2018 e 2019 contro l'1,5% governativo), non è destinato a calare. Il vicepremier Luigi Di Maio vede però un bicchiere non mezzo pieno, ma addirittura pienissimo: «Le agenzie di rating non misurano il benessere dei cittadini di un Paese, ma chi aspettava Standard&Poor's per continuare a remare contro il governo oggi (ieri, ndr) ha avuto una brutta sorpresa».

In realtà, anche se Standard&Poor's ha scelto un'altra strada rispetto a quella battuta da Moody's che ha tagliato il nostro rating, la sostanza non cambia: così non va, la legge di bilancio va modificata per evitare conseguenze devastanti. Non avendo ghigliottinato il rating S&P sembra volere concedere ancora tempo all'Italia nella speranza che l'impianto della manovra venga corretto.

Adesso bisognerà attendere lunedì per la reazione dei mercati. Non fa testo il -0,7% di ieri, né l'impercettibile rialzo dello spread a 311 punti. Un altro downgrade dell'Italia era già dato per scontato, ma l'aver ritoccato solo l'outlook non significa necessariamente che le scelte dell'agenzia Usa saranno accolte in modo benevolo. Soprattutto per le critiche, aspre e circostanziate, sulla manovra.

C'è, semmai, il pericolo di una risposta avversa che andrebbe subito a impattare sullo spread e, di conseguenza, sui titoli delle banche.

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