Cronache

Ma spero solo in un domani più umano

Ma spero solo in un domani più umano

Ogni volta che leggo di scienziati che pianificano il nostro impeccabile futuro prossimo venturo, o m'imbatto nei progetti minimal della «casa di domani» alla Milano Design Week, o ascolto i deliri utopistici della Casaleggio&co. sui robot che faranno la spesa per noi, ogni volta che tutto questo accade sento rivoli di sudore diaccio colare lungo la schiena. Io non ho paura del futuro. Da vero conservatore non aspetto altro che arrivi. Fosse solo per poterlo criticare. Non ho paura del futuro perché l'ho sentito narrare tante volte, e so che non c'è da fidarsi: né degli scrittori di fantascienza (non ce n'è stato uno in tutto il '900 che abbia previsto Google, ma solo macchine volanti e robot), né dei futurologi (tutti apocalittici), né degli scienziati (tutti ottimistici), né dei politici (tutti propagandistici). E non sono nemmeno contro il futuro. Anzi. Da vero conservatore sono più tecnologico io di molti progressisti equo solidali e ecologicamente corretti. Io voglio il futuro. Ma un futuro che - pur tra macchine «autoguidanti», superantibiotici, intelligenze artificiali che sovraintendono a tutti i nostri bisogni - non dimentichi l'uomo. Con i suoi limiti, le imperfezioni, gli errori, la sua fantasia. I software sofisticatissimi e i robot di ultima generazione più che spaventarmi mi annoiano. Non è mai stata la precisione di una teoria né l'efficienza di un'invenzione a far progredire il mondo. Ma lo scarto, l'imprevedibile, la pecca, l'errore che permette di scoprire la Coca Cola o l'America. L'unico futuro che temo è quello di un mondo asettico. Non vedo l'ora di vivere in una città autosufficiente.

Basta che anche tra vent'anni, se mi va, possa ancora parcheggiare sulle strisce.

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