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Lo sponsor della Boschi e l'aiuto alla banca di papà

Serra provò due volte a salvare Etruria. Il ministro sulla sfiducia: "Vedremo chi ha la maggioranza..."

Lo sponsor della Boschi e l'aiuto alla banca di papà

«Noi, Banca Etruria» recita uno spot della popolare aretina finita in disgrazia. Di sicuro, tra quei «noi», c'erano molti parenti, amici e amici degli amici. Non solo la famiglia Boschi (padre, figlio, cognata) impiegata nella banca in ruoli di primo piano, ma anche altri petali del giglio magico molto interessati al destino dell'istituto. A partire da Davide Serra, il finanziere italo-londinese grande sponsor delle campagne elettorali di Renzi, cui ha portato in dote un bel giro di banchieri e uomini di affari.Serra, che nel 2014 si è iscritto al Pd di Londra e che Napolitano, tra gli ultimi suoi atti al Quirinale, ha nominato commendatore della Repubblica, non è solo un habitué della Leopolda, ma anche un generoso finanziatore (225mila euro) della Fondazione Open, la cassaforte delle fondazioni renziane, di cui segretario generale è proprio Maria Elena Boschi insieme al sottosegretario Luca lotti e al fidato Marco Carrai.Ma le relazioni tra il finanziere capo del fondo Algebris e il cerchio magico renziano si intrecciano anche su Banca Etruria, quella del vicepresidente Pierluigi Boschi, padre della ministra. Nel febbraio scorso, infatti, quando la banca è già al collasso affondata dalla pessima gestione dei crediti (da lì a qualche giorno verrà infatti commissariata da Bankitalia) da Londra si fa vivo un investitore dal fiuto raffinato: è il renziano Serra. Che formula in due tempi diversi, prima e subito dopo il commissariamento - come ha rivelato il Messaggero - una «proposta di cooperazione, risanamento e rilancio di Banca Etruria». Nella prima missiva Serra manifesta interesse per l'acquisto dei «non performing loans», i crediti in sofferenza della Banca Etruria, fino a 750 milioni di euro.Solo qualche giorno più tardi, e precisamente otto giorni dopo il commissariamento, il finanziere amico del premier torna alla carica e scrive una seconda lettera, indirizzata ai commissari della banca aretina. Serra rinnova l'offerta per il portafoglio dei crediti incagliati, ma amplia la sua proposta a una più vasta cooperazione per rimettere in salute la Etruria e addirittura partecipare alla ricapitalizzazione, anche facendosi carico di 20 dipendenti della banca e 40 di Etruria Informatica, una controllata presieduta da Lorenzo Rosi, ex numero uno dell'Etruria (che, si è scoperto da poco, sarebbe socio in tutt'altre faccende con Tiziano Renzi, il padre del premier).Non sappiamo se l'offerta di Serra - che abbiamo provato a contattare, senza risposta - sia stata presa in considerazione da Banca Etruria o sia finita nel nulla. Anche perché, nel frattempo, il finanziere era finito sotto i riflettori per essere stato convocato dalla Consob proprio in relazione a Banca Etruria e alle sospette speculazioni avvenute sul titolo schizzato in Borsa del 66% a ridosso della trasformazione - per decreto del governo - delle popolari in Spa («Mai nella storia di Algebris - spiegherà la società di Serra - è stato fatto alcun investimento nel capitale della Banca Popolare dell'Etruria»).Sospetti infondati e malevoli. Come quelli che lo avevano investito nel 2012, quando si era scoperto che l'Ente cassa di risparmio di Firenze, la principale fondazione bancaria della città - sindaco Renzi - aveva appena acquistato 10 milioni di bond proprio da Algebris Investments, il fondo di Davide Serra. Un paio di settimane dopo lo stesso Serra organizzerà la famosa cena di finanziamento per Renzi a Milano, ospite anche Jacopo Mazzei, presidente della cassa di risparmio di Firenze. Coincidenze.Certo è che alla Leopolda dell'anno scorso il finanziere, animatore di un tavolo economico nella kermesse renziana, ha proposto una «norma a costo zero» che consenta alle banche di recuperare più rapidamente i crediti. Proprio quello che puntava a fare con gli «incagli» di Banca Etruria.

Una vicenda che ha travolto il ministro Boschi, che però, di fronte alle mozioni di sfiducia in Parlamento, ostenta serenità: «Discuteremo in Aula, voteremo, e poi vedremo chi ha la maggioranza».

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