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Lo Stato impone il 41bis poi lascia straparlare Riina

Così le esternazioni del capo dei capi trapelate sulla stampa vanificano la logica del carcere duro

Lo Stato impone il 41bis poi lascia straparlare Riina

Roma - Il paradosso del 41 bis: da una parte lo Stato dispone il carcere duro ai mafiosi imponendo loro norme rigidissime per impedirgli di mandare messaggi all'esterno, dall'altro depositando al processo sulla trattativa Stato-mafia in corso a Palermo le intercettazioni del boss dei boss i magistrati stessi vanificano gli effetti del 41 bis lasciando trapelare fuori dal carcere le esternazioni di Riina, minacce comprese.

E mentre tutti si domandano se l'ex capo di Cosa Nostra sapesse o meno di essere intercettato quando durante l'ora d'aria si sfogava con un altro detenuto nel carcere di Opera tra l'agosto e il novembre del 2013, i giornali continuano a fare da cassa di risonanza ai suoi deliri. Solo farneticazioni, quelle di U Curtu , quando dice che bisogna ammazzare don Ciotti, fondatore di Libera, l'associazione che gestisce i beni confiscati alla mafia? O forse c'è ancora qualcuno, al di là delle sbarre, pronto ad eseguire i suoi mandati? L'avvocato Luigi Li Gotti, difensore di noti pentiti, avverte: «Sarebbe un grave errore considerare Riina un boss depotenziato, senza riferimenti esterni. Quando parla e fa il nome di persone è sempre motivo di allarme».

Per questo il giurista si dice sorpreso dalla divulgazione delle intercettazioni ambientali in cui il mafioso ripercorre la storia di Cosa Nostra. Eppure le conversazioni di Riina con il suo compagno di 41 bis, Alberto Lorusso, sono state depositate comunque al processo di Palermo, a disposizione delle parti. Che sarebbero finite sui giornali era praticamente scontato. In un'intervista a il Messaggero il sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia Maurizio de Lucia difende la mossa dei colleghi: «Non si possono fare scelte di opportunità - sostiene - rispetto ad atti che appartengono ad un processo e che devono quindi essere messi a disposizioni di tutti».

Eppure qualche cautela per non vanificare gli effetti del carcere duro e delle sue rigidissime limitazioni si sarebbe forse potuta adottare. Altrimenti perché affannarsi per renderlo ancora più rigido, come ha minacciato di fare il ministro dell'Interno Angelino Alfano, per questo entrato pure lui nel mirino di Riina. «I boss devono sapere che se proveranno a far uscire informazioni dal carcere lo Stato non avrà nessuna timidezza per impedirlo ed è pronto a rendere più dura la normativa sul 41 bis», aveva detto lo scorso dicembre in un'audizione alla Commissione Antimafia.

E c'è pure un articolo della legge che punisce fino a 5 anni chi consente a un condannato al carcere duro di comunicare con l'esterno. Tutto questo quando poi è lo stesso ordinamento giudiziario a dare gli strumenti a un boss del calibro di Totò Riina per scavalcare le limitazioni di questa norma che per alcuni aspetti è stata anche «bocciata» dalla Corte di Strasburgo.

Quindi una misura estrema e necessaria (e forse disumana) viene apparentemente comminata inutilmente.

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