Politica

Lo Stato non paga le protesi all'artificiere ferito a Firenze

Il militare che ha perso un occhio e una mano non è stato assicurato. Così come i poliziotti in prima linea

Luca Fazzo

Le scritte sono apparse sui muri di Milano, ironia feroce sul poliziotto ferito a Firenze a Capodanno mentre cercava di disinnescare una bomba: «Artificiere fatti i c... tuoi, a Firenze avevamo ragione noi»: quasi una rivendicazione dell'attentato, che doveva colpire una libreria dell'ultradestra e invece ha straziato l'agente Mario Vece, che ha perso un occhio e una mano; e ancora, sempre peggio: «Polizia a Firenze, «Guarda mamma, senza mani!». Insieme alle scritte sui muri piovono contro il poliziotto ferito gli insulti dei siti «antagonisti», che gli danno praticamente del torturatore: colpa di una vecchia vicenda di quando era in servizio a Pistoia, e patteggiò la pena per le percosse che il suo equipaggio aveva inflitto a alcuni giovani fermati. Uno dei fermati, si scoprì poi, era il figlio di Vannino Chiti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

Ora quel vecchio episodio viene rispolverato da siti e blog per infierire su un uomo che ha rischiato la vita per fare il suo dovere: e c'è persino chi su Facebook definisce l'esplosione che ha quasi ucciso Vece un atto di «giustizia divina». Ora il Siulp, il sindacato di polizia cui aderisce il ferito, ha deciso di dire basta, e ha affidato all'avvocato Massimiliano Annetta il mandato di querelare chi ha insultato l'agente ferito. Ma gli insulti che piovono sull'agente non sono l'unico aspetto sconcertante della vicenda. A rivelarlo ieri è Antonio Lanzilli, segretario generale del Siulp fiorentino, che ha annunciato l'apertura di un conto corrente per raccogliere gli aiuti economici al collega: una iniziativa resa indispensabile dalla circostanza che gli uomini delle forze dell'ordine non sono assicurati. Nonostante facciano uno dei lavori statisticamente più pericolosi della Terra, i poliziotti non sono tutelati in alcun modo dai rischi di infortunio cui vanno incontro. Sia quando si tratta di infortuni lievi, sia nei casi drammatici come quello di Vece. «In alcune ragioni d'Italia - racconta Lanzilli - gli agenti feriti in servizio si sono visti chiedere il ticket al pronto soccorso. E hanno dovuto pagarlo di tasca propria».

Una volta esistevano le strutture sanitarie interne alle forze di polizia, che sono state progressivamente smantellate. Oggi gli uomini che lo Stato manda in prima linea, negli scontri di piazza come a bordo delle Volanti che pattugliano le strade, sanno che se accade loro qualcosa dovranno arrangiarsi da soli.

«Il caso di Mari Vece rende eclatante questa lacuna», spiega Lanzilli. A nove giorni dall'attentato, il poliziotto ferito è ancora in condizioni critiche, anche se è lucido: ieri è stato operato alla testa per ricomporre i danni alle ossa craniche, che sono stati investiti in pieno dallo scoppio; ma le conseguenze peggiori sono quelle all'occhio destro, che appare irrecuperabile, e al braccio sinistro, che rischia di dover essere amputato fin quasi all'altezza del gomito. Per Vece, insomma, si prepara un calvario medico che lo costringerà a fare i conti con i tempi della sanità pubblica; e per avere delle protesi dovrà mettersi in lista d'attesa. I suoi colleghi di tutta Italia lo sanno, e per questo fin dalle prime ore dopo l'attentato è scattata la gara della solidarietà e sono iniziate ad arrivare le offerte di contributi.

Ieri, anche il Giornale decide di scendere in campo affianco al poliziotto ferito, mandato a rischiare la vita senza assicurazione: e, oltretutto, in condizioni operative che hanno destato numerose perplessità, senza l'utilizzo di robot-artificieri e nemmeno senza adeguate protezioni.

«Ma di questo non diciamo nulla - commenta Lanzilli - perchè se ne sta occupando la magistratura».

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