Cronache

Lo stile Suburra imita il Re Sole È il segno kitsch del comando

Lo stile Suburra imita il Re Sole È il segno kitsch del comando

Andrebbe presa come un paradigma filosofico la lucidità del criminale nero di American Gangster di Ridley Scott interpretato da Denzel Washington e braccato, per tutto il film, dal poliziotto ebreo, uno sfigato e alcolizzato Russel Crowe. Bisogna vivere la propria vita nell'assoluta normalità, senza lasciare tracce anomale né contemplare forme di esibizionismo, perché un buon investigatore capisce subito se qualcosa è cambiato e va a cercarne le ragioni. Lui sobrio, elegante mai sfarzoso, si raccomanda con la moglie vanitosa: «Non ti mettere una pelliccia da 100mila dollari per andare a teatro». Lei disubbidisce, innescando così il meccanismo a catena che porterà alla loro incriminazione dopo anni di latitanza. L'estetica della malavita, peraltro, ha precisi punti di riferimento che cinema e televisione traducono ormai da decenni in precise scelte stilistiche. Tralasciando la magnificenza siculo-americana nella saga de Il Padrino, ma già Michael Corleone era molto critico rispetto allo sfarzo popolano del padre Don Vito- bisogna riandare a due capolavori di Brian De Palma e Martin Scorsese, rispettivamente Scarface e Casinò, adrenaliniche discese negli inferi del kitsch più incredibile e magniloquente. Soprattutto chi viene dai bassifondi, come Tony Montana o Asso Rothstein, non vede l'ora di circondarsi di oggetti barocchi in cui oro e stucchi la fanno da padrone per dimostrare che sì, loro ce l'hanno fatta e ti sbattono sotto il naso la ricchezza travestita da eccesso e cattivo gusto. E se si tratta di patacche non importa, basta che ricordino ipotetici scenari alla Luigi XIV. La retata che ieri ha decimato il clan Spada a Ostia rivela ancora una volta l'abusato stereotipo del criminale coatto, assoluto dominatore delle periferie romane fin dai tempi della Magliana. Sanitari dorati, mobili in stile, troni sui quali si sono accomodate le peggiori facce da galera, suppellettili di dubbio gusto, antiquariato e dipinti antichi sottratti a qualcuno che forse non riusciva a pagare i tassi d'usura. Niente arte contemporanea, troppo cerebrale e minimal per l'educazione estetica dei boss. Roma, peraltro, è immersa nello splendore della magnificenza barocca, una tradizione che va mantenuta anche oggi. All'inizio fu il Dendi, tra gli «eroi» di Romanzo criminale, circondatosi di «meraviglie» che, insieme a gioielli, belle donne, auto sportive, gli permettevano di evidenziare la salita alla scala sociale. Sogni che i soldi possono comprare. Le case degli zingari di Suburra il protagonista guarda caso è soprannominato Spadino- sono state affidate probabilmente agli stessi arredatori e architetti del clan di Ostia. Gente che teme l'horror vacui e accumula tesori di ogni sorta, trasformando i salotti in forzieri e i bagni in piscine termali. L'ultima stagione di Gomorra, invece, ci ha presentato criminali più essenziali, vestiti di nero, quasi si fosse definitivamente consumato lo stacco con il gusto delle generazioni precedenti, sfarzosi e kitsch quanto i colleghi romani. Parlando d'arte, mi sovviene il ciclo fotografico Ricas y Famosas della messicana Daniela Rossel che negli anni '90 riuscì a immortalare le case delle donne figlie o mogli dei boss. Case hollywoodiane stipate di cianfrusaglie tanto brutte quanto costose. E i capi non la presero affatto bene, minacciandola di non esporre le sue opere in Messico.

In fondo l'arte non fa altro che imitare la vita e spesso la realtà supera ogni fantasia.

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