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Storico incontro tra le due Cine. Ma i presidenti si diranno solo "signore"

Pechino e Taipei ufficialmente non si riconoscono per cui Xi e Ma non potranno salutarsi con il titolo

Xi Jinping arriva all'aeroporto di Noi Bai ad Hanoi, in Vietnam
Xi Jinping arriva all'aeroporto di Noi Bai ad Hanoi, in Vietnam

Sabato a Singapore avverrà un fatto storico: per la prima volta in quasi settant'anni s'incontreranno i presidenti della Cina «popolare» e di quella nazionalista, meglio conosciuta come Taiwan. Il fatto è che le «due Cine» sono sì arrivate a comunicare tra loro in modo rispettoso anche ai massimi livelli, ma continuano a non riconoscere ufficialmente la reciproca esistenza: è il paradosso storico più complicato dell'Estremo Oriente, due Cine che fanno finta davanti al mondo che ne esista una sola, e tutto il mondo partecipa a questa finzione. Di fatto però le Cine sono due, anche se una è un colosso da un miliardo e 300 milioni di abitanti, e l'altra una piccola isola sovrappopolata che ne ospita poco più di 23. Il fatto che i due governi non abbiano rapporti ufficiali farà sì che sabato il comunista Xi Jinping e il nazionalista Ma Ying-jeou si rivolgeranno l'uno all'altro chiamandosi semplicemente «signore», non potendo pronunciare la parola «presidente». Soluzione che ha richiesto faticosi negoziati tra le due delegazioni.

È il caso di ricordare che questa situazione surreale deriva da eventi che risalgono al 1949: in quell'anno i rivoluzionari comunisti guidati da Mao Zedong vinsero la ventennale guerra civile contro i nazionalisti di Chiang Kai-shek, alleato dell'Occidente ed erede della guida della Cina moderna di Sun Yatsen, che nel 1911 aveva deposto l'ultimo imperatore Pu Yi. Chiang Kai-shek, pur sconfitto, non si arrese e con i resti del suo esercito, seguito da milioni di cinesi che non volevano sottostare al nuovo regime, raggiunse l'isola di Taiwan trasformandola nell'ultimo baluardo del nazionalismo. Di fatto, dunque, non fondò mai un nuovo Stato, ma continuò su scala minore l'esperienza della Cina repubblicana, sempre sperando che un giorno il regime comunista di Pechino sarebbe stato abbattuto e continuando a pretendere di rappresentare l'intera Cina. Lo stesso fecero i «rossi» di Mao, che a tutt'oggi affermano di considerare Taiwan nient'altro che una provincia ribelle. A complicare ulteriormente le cose, sta il fatto che Taiwan è armata fino ai denti dagli americani, che però da ormai quarant'anni hanno scelto di riconoscere ufficialmente il gigante comunista. Un groviglio concettuale tenuto insieme dalla finzione suprema che di Cina ne esista in realtà una sola.

È questa finzione (alla quale le due parti danno significati ben diversi) a consentire a Xi e Ma di incontrarsi in territorio neutro nel nome di un pragmatismo che permette lo sviluppo del business e rapporti almeno provvisoriamente distesi tra le due sponde dello Stretto. Non vorremmo essere nei panni dei diplomatici che sabato accompagneranno i due «signori» cinesi, e che dovranno pesare ogni singola parola prima di pronunciarla, oltretutto sapendo in anticipo che non seguirà alcun comunicato congiunto vista la situazione.

L'incontro parte comunque bene, con Pechino che parla di «pietra miliare».

Meno positiva l'opposizione indipendentista di Taiwan, che punta a vincere le elezioni del prossimo gennaio e a buttare (quasi) tutto all'aria.

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