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La strana dottrina M5s C'è la libertà di diffamare ma solo se lo fanno loro

Insultano tutti ma quando sono indagati per lo stesso reato sminuiscono: "Perché diamo fastidio"

La strana dottrina M5s C'è la libertà di diffamare ma solo se lo fanno loro

Doppia faccia, doppia morale, ennesima giravolta. Ancora una volta quelli del Movimento 5 stelle si dimostrano contraddittori e sprezzanti della legge. Almeno quando interessa a loro. Succede che il senatore Nicola Morra risulti indagato per diffamazione. Succede, specie quando si sproloquia di tutto e di tutti senza badare alla forma perché si ha una patente di onestà (per quanto auto-attribuita) e si può dire ciò che si vuole.

Ma a volte così non è e capita che si sente diffamato si ribelli e sporga querela. Vale per tutti ma per loro no. Perché nel pomposo video messaggio su Facebook con cui, in nome della trasparenza, il senatore Morra annuncia di essere indagato spiega di non sapere «a chi ha dato fastidio», il suo «fiato sul collo», perché la diffamazione, a suo dire, «viene contestata quando rompi le scatole, quando fai delle attività per cui qualcuno si sente leso nella sua maestà» e quando «promuovi atti di sindacato ispettivo». Un'interpretazione del diritto e della legge alquanto personale e bizzarra, inaccettabile per un senatore della Repubblica e «ministro in pectore» di un eventuale governo a 5 stelle.

Al momento non è dato sapere il motivo per cui Morra risulti indagato, lui stesso afferma di non saperlo. Alcuni mesi fa finì in un giudizio civile per diffamazione, denunciato dalla cooperativa «Malgrado Tutto», che si occupa di migranti, per alcune dichiarazioni rese in tv. Di certo c'è che Morra afferma di essere stato indagato «per il reato di cui all'articolo 593 comma 3 del Codice Penale» che però riguarda l'omissione di soccorso e non la diffamazione (595 comma III). Quindi, o è stato denunciato per un reato diverso da quello che crede o più semplicemente ha fatto confusione. Altro dato sicuro è che Morra definisca le querele per diffamazione «temerarie» e che «servono a zittire». Questo può essere vero ma andrebbe ricordato proprio allo stesso Movimento. Virginia Raggi infatti ha annunciato querela contro il quotidiano Libero reo di averla diffamata in un titolo; Luigi Di Maio le minaccia contro i giornalisti che hanno ipotizzato un suol ruolo nell'ascesa di Raffaele Marra in Campidoglio; la Casaleggio e Associati ha promesso querele generiche verso chi la accusa di aver avuto un ruolo nella redazione del codice etico; il Movimento verso giornalisti e blogger che osano criticare la loro condotta. Ma, cortocircuito nel cortocircuito, proprio loro per bocca del leader Beppe Grillo, erano soliti dire che «La querela è un'arma da ricchi, usata per intimidire e per tappare la bocca».

Naturalmente è così, solo e soltanto quando le «vittime» sono loro. Liberi di insultare tutti, coi politici diversi dal movimento che sono per definizione «ladri», «corrotti» e «mafiosi». Loro che chiedono le dimissioni di chiunque sia indagato o sfiorato da un sospetto. Loro, gli stessi che poi fanno le verginelle smarrite quando finiscono nel mirino.

Con una doppia faccia ai limiti del tragicomico.

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