Cronache

Quella strana inchiesta da record che non è riuscita a convincere

Il caso continuerà a dividere gli innocentisti dai colpevolisti

Quella strana inchiesta da record che non è riuscita a convincere

Solo Massimo Bossetti, nel suo cuore, sa se la sentenza emessa ieri sera dalla Corte d'assise di Bergamo rende giustizia alla tragedia di Yara o è un colossale errore giudiziario. Per il resto, la partita tra innocentisti (pochi) e colpevolisti (molti) è destinata a durare a lungo, quanto e più di Garlasco, di Amanda, dei Misseri di Avetrana, di qualunque altro dei gialli da talk show che insanguinano la provincia italiana. Perché il caso di Yara Gambirasio è stato un caso anomalo dall'inizio, nei mesi del mistero, quando ancora il corpo della ragazzina non si trovava, e poi fino alla fase dell'inchiesta, ai metodi inediti e in qualche modo scandalosi che sono stati usati per dare la caccia all'assassino, e fino all'anomalia più vistosa di tutte, il processo quasi a porte chiuse, scelta probabilmente saggia, ma che ha portato all'esterno un racconto assai mediato, e quindi parziale, di quanto accadeva in aula. Come sarebbe cambiata la bilancia dell'opinione pubblica se le certezze e i balbettii di accusa e difesa fossero andati in onda a botta calda a Quarto Grado?

Anomalia dopo anomalia, la percezione collettiva degli elementi contenuti nel fascicolo si è staccata dalla realtà. Accade nei tre mesi che passano tra la scomparsa di Yara e il ritrovamento del suo corpo, segnati dal fermo e dal rilascio del marocchino Fikri; ma accade soprattutto dopo, nei tre anni in cui una inchiesta senza precedenti stringe progressivamente il cerchio intorno a Massimo Bossetti partendo dall'unica traccia reale, i frammenti di Dna sugli indumenti della povera vittima. Fuori, l'impressione è che l'inchiesta scavi a vuoto; solo Letizia Ruggeri e i suoi investigatori sanno che invece la sfida disperata, la ricerca di «Ignoto 1» tra decine di migliaia di maschi adulti, sta dando passo dopo passo i suoi frutti.

Che si potesse, per dare la caccia a un assassino, schedare il Dna di quasi ventimila persone, era francamente inimmaginabile. Ma la pm non molla. E quando nell'estate del 2012 l'inchiesta aggancia la pista di Giuseppe Guerinoni e del suo figlio illegittimo, una curiosità da strapaese si abbatte sulla ricerca di quell'adulterio di mezzo secolo prima.

Il resto è storia nota, l'individuazione di Ester Azzuffi, l'etilometro piazzato in bocca a Bossetti per carpirgli la mappa genetica. Eppure neanche l'arresto di Bossetti - colpevole fin troppo perfetto dal punto di vista fisiognomico e delle abitudini - chiude l'anomalia del caso di Brembate. Anzi. Quando Antonella Bertoja, presidente della Corte d'assise, decide di tenere fuori dall'aula le telecamere, lo fa per tutelare la genuinità del processo: ma l'effetto collaterale è che la battaglia si sposta fuori, nell'accampamento dei media lungo la via Borfuro, e da lì nelle case degli italiani, cui viene spacciato per buono persino il video farlocco del furgone di Bossetti che i carabinieri confezionano ad uso della stampa; e non è un caso che anche i reporter inviati sul campo si dividano e litighino come non mai. La conseguenza inevitabile di questa catena di anomalie è che lettori, compulsatori di siti, tv-dipendenti, della essenza del processo a Bossetti hanno percepito poco e male.

Si spera che i giurati, chiusi nella camera di consiglio insieme ai giudici, prima di uscire con la fascia tricolore nell'aula affollata e blindata, abbiano avuto modo di capire meglio.

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