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Lo strano patto tra l'ex premier e "Repubblica"

Lo strano patto tra l'ex premier e "Repubblica"

Roma - Bene in edicola: il Fatto Quotidiano, grazie alla telefonata intercettata tra Matteo e Tiziano Renzi, ieri era introvabile. Male invece su tutto il resto. Primo, la pubblicazione di quel colloquio è illegittima. Secondo, il risultato è l'opposto di quello voluto: il segretario del Pd ha fatto una buona figura. Terzo, il gruppo dei giustizialisti adesso viene addirittura additato di intendenza col nemico. «Sembrava una rappresentazione teatrale - dice il senatore M5S Vito Crimi -, mancavano solo i classici saluti al maresciallo in ascolto». E un'altra grillina, Laura Bottici, pensa a gioco delle parti: «Pubblicando quel dialogo hanno solo fatto un favore a Renzi».

Un'accusa grottesca? Probabilmente sì, anche se è lo stesso Marco Lillo, in una delle tante controrepliche all'ex premier, a parlare di un «patto». Tra chi, tra Renzi e il giornale di Travaglio? No, tra Renzi e Repubblica. E di che si tratta? Di un'intesa segreta, di una pantomima in cui tutti trovano una convenienza? Niente di tutto ciò, il «patto» altro non è che una clausola di riservatezza conseguente a una remissione di querela. Lillo, insieme a Gianluca Di Feo, oggi vicedirettore di Repubblica, firmò nel 2008 sull'Espresso un'inchiesta sui problemi giudiziari del Pd a livello locale, scrivendo che Renzi, allora presidente della provincia, era indagato. Notizia falsa, pubblicata per colpa di Di Feo: lui si era occupato del centro-nord, mentre Lillo aveva lavorato nel sud. La causa per diffamazione andò avanti fono al 2012. Incidente chiuso con il pagamento di 22mila euro da parte del gruppo di De Benedetti, riaperto da Renzi ieri che l'ha usato per attaccare Lillo, il quale poi ha ribattuto, e chissà quando finirà.

La morale è che non ci può più fidare nemmeno delle intercettazioni. Eppure era un meccanismo perfetto: una velina, un brandello di conversazione anche penalmente irrilevante, esce non si sa come da un palazzo di giustizia e finisce a un giornale amico mettendo in cattiva luce il personaggio da colpire e dando così un po' di smalto mediatico a un'inchiesta che non decolla. Ha funzionato per più di vent'anni, ora il giochetto sembra inceppato, come si è visto con il caso del capitano del Noe che lavorava con la procura di Napoli, accusato di aver falsificato alcuni verbali dell'inchiesta Consip, poi diffusi.

Forse non ci saranno patti segreti, forse sono solo autogol, però Marco Travaglio ora deve abbozzare quando il duo comico Luca e Paolo lo sfotte: «Il suo libro? Un'autobiografia dei giornalisti che hanno rovinato l'Italia».

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