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La strategia del Viminale Campi in Niger, Mali e Sudan

Per Salvini bloccare le partenze dalla Libia non basta «Serve fermare gli arrivi dai confini meridionali»

Foto d'archivio
Foto d'archivio

«Se blocchiamo le partenze, ma non fermiamo gli arrivi dai confini meridionali, la Libia diventa un grande collo di bottiglia. È in programma una missione ricognitiva su proposta libica per sostenere le capacità delle guardie di frontiera al sud» aveva anticipato a Il Giornale l'ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, alla vigilia della visita del vicepremier Matteo Salvini.

Il ministro dell'Interno ha finalizzato nella capitale libica il prossimo passo per tamponare l'immigrazione clandestina. Assieme al premier Fayez al-Serraj ha sottolineato «la massima importanza alla messa in sicurezza dei confini meridionali attraverso programmi di addestramento delle forze libiche e l'attenzione allo sviluppo locale».

I centri attrezzati per identificare i migranti e selezionare chi ha diritto all'asilo dovranno sorgere «ai confini esterni della Libia. Pensiamo a Niger, Mali, Chad e Sudan» sostiene Salvini al ritorno a Roma.

Il vice premier libico Ahmed Maitig, che rappresenta la città-Stato di Misurata, ha detto no a veri e propri hotspot perché non sono previsti dalla legislazione locale.

A Tripoli esiste già un centro di accoglienza e selezione dei migranti gestito dai libici e dall'Onu visitato ieri da Salvini, anche se in fase di completamento. Un progetto del genere potrebbe sorgere anche nel sud del paese. Prima ancora, però, l'Italia è pronta ad addestrare la guardia di frontiera libica. A breve partirà una «missione ricognitiva» composta da personale dei ministeri dell'Interno, della Difesa e degli Esteri che raggiungerà Ghat, in mezzo al deserto all'estremo sud della Libia dove gli italiani hanno rimesso in piedi l'aeroporto. La città diventerà il fulcro del progetto pilota per il controllo del confine con il Niger, principale porta d'ingresso dei migranti.

«Vedremo se addestrare il personale libico sul posto oppure in Italia» spiega una fonte de Il Giornale coinvolta nell'operazione. Si tratta soprattutto di appartenenti alle tribù Tebu, Soleiman e Tuareg, solitamente in lotta fra loro, conosciuti come i «guardiani del deserto».

Il piano finanziato dall'Unione europea era già stato approvato con il governo Gentiloni, ma il ministro dell'Interno, Marco Minniti, non ha fatto in tempo ad attuarlo. Non è escluso che a Ghat vengano inviati un centinaio di uomini, in parte addestratori della polizia o dei carabinieri in un'apposita base da costruire. Una parte del compound potrebbe diventare il centro di selezione dei migranti che hanno diritto all'asilo gestito dall'Onu assieme ai libici. La zona è un postaccio dove operano bande di trafficanti di uomini, contrabbandieri di armi e droga oltre ai resti dello Stato islamico in Libia. La protezione verrebbe garantita da unità del nostro esercito, ma il via libera finale spetta al governo libico suscettibile a qualsiasi presenza straniera sul territorio. L'opzione più semplice, attualmente sul tavolo, è l'addestramento del personale di frontiera in Italia come avviene con la guardia costiera libica. Per il controllo del poroso confine meridionale la Ue garantirebbe fondi per nuove tecnologie come sensori laser e droni in grado di sorvegliare migliaia di chilometri di deserto. In realtà Finmeccanica aveva già realizzato un progetto del genere ai tempi di Gheddafi. Il costo del controllo elettronico del confine era di 300 milioni di euro, ma le prime forniture sono andata perse con il rovesciamento armato del colonnello.

Salvini vuole muoversi in tempi molto rapidi.

E lo ha detto chiaro nella visita a Tripoli: «Giovedì al vertice europeo il governo sosterrà la necessità di proteggere le frontiere esterne al sud della Libia, perché non siano solo libici ed italiani a sostenere i costi economici e sociali di questa migrazione».

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