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In quella stretta di mano c'è il trionfo della Pop art

Nel gesto che sancisce la pace c'è un po' di Michelangelo e un po' di Warhol. E colori che parlano

In quella stretta di mano c'è il trionfo della Pop art

Ci fosse stato ancora Andy Warhol la potenza dell'immagine non gli sarebbe certo sfuggita: due mani che stanno per stringersi in segno di pace, ancora a pochi centimetri di distanza, le dita protese dell'uomo di sinistra a replicare il gesto michelangiolesco del Giudizio Universale, il palmo proteso in segno di accoglienza dell'uomo di destra, il cui polsino della camicia bianca esce sapientemente dalla giacca, prodotto di raffinata sartoria.

Sullo sfondo le bandiere dei loro rispettivi Paesi. Dell'una conosciamo tutto, così forte è la sua presa nel nostro immaginario fatto di adesivi, magliette, cover per smartphone, prodotti da supermercato, opere d'arte dalle famose Flags di Jasper Johns ai Combine Paintings di Robert Rauschenberg, film patriottici, foto di guerra ecc... L'altra, invece, è quasi nuova, rappresenta una realtà emergente (c'è chi dice pericolosa) a dimostrazione di quanto sia cambiata la geografia del pianeta: una stella rossa su tondo bianco, che ha sostituito nella contemporaneità il monocromo rosso della CCCP. Eppure basta osservare con un minimo di attenzione per accorgersi che i colori sono sempre gli stessi tre: blu, bianco e rosso e sono peraltro gli stessi colori del vessillo russo. Nuovi e vecchi imperialismi sanno esercitare l'arte della persuasione visiva e cromatica.

Passano i decenni eppure i codici della Pop Art continuano a prevalere, potenti, nel nostro immaginario. Basta allargare l'obiettivo ed ecco apparire in scena due tra i leader mondiali più discussi parliamo di iconografia, non di politica - e potenti. La loro cordiale ma formale stretta di mano se non pace vuol dire stop ai test nucleari, sospensione della minaccia atomica, un passo in avanti dettato più dai rischi reciproci che dalla sincera predisposizione al bene. Non è ancora forte come il volo della colomba picassiana, piuttosto qualcosa che ricorda la tempestività con cui Warhol (ancora lui, sempre lui) celebrò nel '72 il vertice bilaterale UsaCina, quando Nixon e Mao allentarono le tensioni sul tavolo da ping pong.

Nel nuovo scenario di Singapore, ennesima testimonianza di quanto pesi nel terzo millennio il nuovissimo mondo, le facce dei capi di Nord Corea e America sono così buffe e sfuggenti a qualsiasi archetipo da regalare nuovi spunti ad artisti, disegnatori, vignettisti con spirito umoristico. Il gigantesco Trump potrebbe stritolare l'occhialuto colonnello Kim soltanto con la stretta di mano.

E invece l'appoggia, delicatamente, che dopo i riti diplomatici e le firme necessarie ci si potrà confrontare su look, taglio di capelli, magari celebrando come diceva il capitano Renault in Casablanca «l'inizio di una grande amicizia».

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