Cronache

Studentessa incinta a Verona. Rapita in Pakistan per abortire

La scuola: "Da gennaio non abbiamo più sue notizie". Segregata in casa dai genitori e privata del passaporto

Studentessa incinta a Verona. Rapita in Pakistan per abortire

Una vita, forse, è già stata soffocata: quella che una madre faceva respirare nel suo grembo; un'altra vita - quella della mamma - potrebbe essere in pericolo.

È l'ennesima brutta storia, dove fanatismo religioso e tradizione delirante diventano un mix criminale. Risultato: una ragazza pachistana di 19 anni (residente a Verona dal 2008) tradita proprio dalle persone che l'avrebbero dovuta amare, i suoi genitori. E che, invece, l'hanno ingannata.

Con la scusa di partecipare al matrimonio del fratello, la giovane è stata infatti convinta a raggiungere la famiglia in patria. Solo qui la studentessa ha capito le vere intenzioni dei parenti: costringerla ad abortire. Lei non voleva. Ma la «vergogna» di aspettare un bimbo da un «impuro» ragazzo italiano era troppo grande.

Gli sms inviati dalla ragazza alle suoe amiche sono angoscianti: «Mi hanno legata al letto e sedata. Vi prego, salvatemi»; «Sono stata ingannata, il matrimonio di mio fratello era solo una scusa per farmi venire qui. Non vogliono che io faccia nascere il mio bambino». Che poi è anche il bambino del suo fidanzato italiano, il quale non si è tirato indietro o nascosto: «Le voglio bene, non l'abbandonerei mai. Chi può, ci aiuti». E il pensiero subito va alla tragedia di Sana, la ragazza, anch'essa pachistana (ma ormai bresciana di adozione), uccisa dai familiari perché si era rifiutata di accettare un matrimonio combinato. Tante le analogie tra le due vicende: due ragazze che vivono in Italia, ben integrate nella nostra cultura; il fanatismo religioso dei rispettivi genitori che non accettano «l'esistenza all'occidentale» delle loro figlie. Con Sana sappiamo com'è andata a finire. Sperando almeno che i suoi assassini paghino per l'orrore compiuto.

Nel caso invece della 19enne pachistano-veronese la situazione è ancora tutta in divenire. Ma i segnali che vengono dal suo paese d'origine sono tutt'altro che rassicuranti. Secondo quanto riportato dal Corriere del Veneto, la ragazza «aveva già denunciato il padre per maltrattamenti lo scorso anno ed era stata ospitata per qualche tempo in una struttura protetta». Un altro tassello lo aggiunge il quotidiano veronese, L'Arena: «L'istituto scolastico aveva deciso nei mesi scorsi di anticipare gli esami di maturità per la giovane pachistana, così da permetterle di portare avanti in serenità la gravidanza. Ma a gennaio la famiglia ha deciso di partire perché era prevista la celebrazione del matrimonio di un fratello. Così non è stato: la giovane è stata segregata in casa e costretta all'aborto con l'aiuto di un medico del posto». La ragazza è riuscita però a inviare alcuni messaggi via Whatsapp alle sue amiche in Italia per denunciare l'accaduto; testimonianza che le compagne hanno riportato ai docenti e di cui è stata informata la Questura scaligera.

Gli investigatori hanno attivato il consolato pachistano e interrogheranno il padre e il fratello della giovane, che intanto sono rientrati in Italia. La ragazza invece, contro la sua volontà, è rimasta in patria: segregata in casa e controllata a vista da madre e sorella, nell'impossibilità di lasciare il Paese perché ormai privata di documenti e passaporto.

Dure le parole dell'assessore ai Servizi sociali del Comune di Verona, Stefano Bertacco: «Non c'è nessuna volontà da parte della famiglia di lasciare libera la ragazza. Purtroppo la situazione è complessa, perché la giovane è cittadina pachistana e quindi anche la Farnesina ha ridotti margini di intervento». Già in passato la ragazza aveva vissuto situazioni familiari problematiche, tanto da aderire al «Progetto Petra», la struttura che si occupa delle violenze sulle donne, in particolare tra le mura domestiche. Poi aveva rassicurato gli operatori: «Problemi risolti. Ora è tutto ok».

Non era vero, purtroppo.

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