Politica

Gli studenti «pacifisti» perseguitano Panebianco «Qui non puoi parlare...»

Il professore, ancora boicottato dai collettivi per un articolo sulla Libia, per fare lezione deve cambiare classe: «Non sono guerrafondaio»

Riccardo PelliccettiCi risiamo. I finti paladini della pace e della tolleranza hanno colpito ancora. Mascherandosi dietro i loro sterili slogan contro la guerra, i militanti di estrema sinistra del collettivo Cua hanno interrotto per il secondo giorno consecutivo le lezioni del professor Angelo Panebianco alla facoltà di Scienze Politiche dell'università di Bologna. Questa volta niente cartelli o manifesti ma urla e provocazioni. Mescolati tra gli studenti che seguivano la lezione, hanno gridato: «Lei in questo palazzo non può parlare perché lei è un guerrafondaio», riferendosi all'editoriale pubblicato sul Corriere della Sera il 14 febbraio, dal titolo Noi in Libia saremo mai pronti?. «Non sono guerrafondaio», è stata la replica del docente. Poi ancora urla contro di lui: «Lei è uno che giustifica i massacri». Dopo un decina di minuti Panebianco ha fatto spostare i propri studenti in un'altra aula, dove ha proseguito la lezione. Tra gli studenti che hanno inscenato la protesta ieri mattina c'erano anche alcuni esponenti del collettivo Hobo, lo stesso che aveva organizzato un blitz contro lo studio di Panebianco lanciando vernice rossa. «Siamo andati alla sua lezione per porre delle domande - ha detto come se nulla fosse una ragazza militante del collettivo - e dirgli che non è possibile che lui inciti a bombardare altri paesi per creare unità politica, fomentando la guerra e l'odio tra civiltà». Gli studenti di Scienze Politiche si sono poi riuniti in assemblea e hanno diffuso una nota rinnovando gli attacchi contro il professore. «Basta con i complici della guerra, basta con i razzisti - hanno scritto - Chi tace è complice ed è complice anche chi non fa tacere i teorici dei massacri». Ma hanno poi rincarato la dose affermando che «Panebianco ha dovuto lasciare l'aula perché la guerra se ne deve andare dalle nostre aule e dalle nostre vite». Secondo gli studenti dell'assemblea, il docente «è un sostenitore delle guerre e dell'impero americano, di teorie razziste e neocolonialiste, di muri e respingimenti per i migranti, di ricette neoliberali che sono alla base della crisi, della nostra precarietà e impoverimento». Slogan ripetuti a memoria, paroloni che imperavano già nei licei e nelle università negli anni Settanta. Ma evidentemente non hanno imparato niente, visto che il loro atteggiamento violento e prevaricatorio non è certo uno strumento per impedire le guerre, ma solo un'aberrante violazione dei più elementari diritti di libertà d'espressione e di insegnamento. Le ripetute azioni di disturbo hanno fatto ora scendere in campo l'Università, che cerca «soluzioni per permettere al professore di tenere le sue lezioni senza essere bloccato». Non solo, ma anche la Procura di Bologna, per tutelare il diritto d'insegnamento, ha annunciato che aprirà un'inchiesta. «Si procederà per interruzione di pubblico servizio» ha dichiarato il procuratore aggiunto di Bologna Valter Giovannini. Immediate anche le reazioni del mondo politico, che da destra a sinistra ha espresso solidarietà a Panebianco. «L'università non può essere il set mediatico delle farneticanti rivendicazioni di chi, ispirato da una cultura estremistica e violenta, vuole negare agli altri la libertà di espressione, di insegnamento e il diritto allo studio», ha affermato la senatrice di Forza Italia Anna Maria Bernini.

«Spero sia stata una scivolata di alcune persone e non un'ondata che ricorda brutte cose del passato», ha invece detto l'ex premier Romano Prodi.

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