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Il successo di Putin Sacra alleanza contro il Califfato

Il leader russo incassa un ruolo di primo piano nella lotta ai tagliagole. E con il rafforzamento dell'impegno in Siria soddisfa pure gli europei

Il successo di Putin Sacra alleanza contro il Califfato

Sono state, probabilmente, le 48 ore più positive, nella carriera di Putin. Ian Bremner, uno dei più acuti analisti americani, ha definito il suo passaggio all'Onu «un trionfo» e l'ex ambasciatore Usa a Mosca McFaul è stato anche più specifico: «Rischiava di essere inchiodato sulla crisi ucraina e invece è riuscito a far parlare solo di Siria, con tutti a pendere dalle sue labbra». Quasi per sottolineare il suo successo, Putin ha dato del suo colloquio di 90 minuti con il presidente degli Stati Uniti – seguito ai due discorsi dalla tribuna del Palazzo di Vetro da cui erano emerse le profonde divergenze tra i due leader nel giudicare le rispettive responsabilità - un giudizio quanto mai ottimistico: «È stato un colloquio positivo, franco, come tra uomini d'affari. Ho trovato un Obama sorprendentemente aperto: le dispute rimangono ma abbiamo molto in comune, ora sappiamo che c'è un lavoro politico bilaterale da fare, dovremo creare un meccanismo politico adeguato».

La Casa Bianca, che si era limitata a definire l'incontro «produttivo», ha incassato senza commentare, ed è stato come riconoscere quello che ormai molti sostengono da tempo: la lotta contro l'Isis deve essere ora la priorità numero uno, non c'è soluzione alla crisi siriana senza il concorso russo, e la cacciata di Assad, che - sia nel suo discorso all'Onu, sia aprendo ieri la conferenza internazionale sul terrorismo davanti a quasi cento capi di Stato e di governo - Obama ha chiesto a gran voce, può aspettare. Ma, al di là del confronto diretto tra i due leader, ci sono altri fatti nuovi di cui la Casa Bianca ha dovuto prendere atto in questi giorni: 1) con l'accordo per lo scambio di intelligence concluso tra la stessa Russia, l'Iran, la Siria e l'Irak (e il via libera di Israele), Mosca ha di fatto assunto un ruolo di primissimo piano nella battaglia contro il Califfato, attirando nella sua orbita perfino quella Baghdad che in teoria dovrebbe essere una dépendance americana. 2) Con il rafforzamento della sua presenza militare in Siria, sia pure in primo luogo per la difesa del regime, Putin si è conquistato molte simpatie tra quegli europei che da tempo invocavano quell'impegno sul terreno che né gli Stati Uniti, né la Ue si sentono di affrontare e ha così conseguito di fatto quello che continua a proporre: una specie di «sacra alleanza» tra il Cremlino e l'Occidente contro il Califfato, con l'obbiettivo di liquidare alle radici un fenomeno che – come dimostrerebbe anche l'assassinio del nostro cooperante nel lontano Bangladesh come esponente dei «crociati»– si sta estendendo rapidamente a tutto il mondo islamico.

Cerchiamo di capire, attraverso le parole di Putin, che cosa potrà accadere adesso. Quando lo zar dice che con Obama ha «molto in comune», sottolinea che gli obbiettivi americani e russi in Medio Oriente, (per quanto tuttora divisi sul futuro di Assad), sono al momento simili e che pertanto è da prevedere anche una collaborazione sul terreno: per esempio, una divisione degli obbiettivi delle due forze aeree, con i russi che si concentrano sulla Siria centrale e settentrionale e gli alleati che picchiano più duro sull'Irak. Quando parla di «un lavoro politico bilaterale» per cui bisogna creare un «meccanismo politico adeguato» ipotizza presumibilmente la costituzione, magari non formale, di un organismo permanente di consultazione per la ricerca di una soluzione politica. L'uso della parola «bilaterale» sembrerebbe indicare che, almeno in una prima fase, Putin punta su un dialogo diretto con l'America, che sull'Ucraina è stata la sua più dura avversaria.

Ieri Obama ha cercato di riguadagnare l'iniziativa, rivendicando la leadership americana e assicurando che alla fine lo Stato islamico perderà perché «non ha niente da offrire alle persone se non una vita rigida e brutale». L'Isis, ha precisato, «è ormai circondata da una coalizione impegnata a ottenere la sua distruzione», in cui ha implicitamente incluso Russia e Iran.

Un altro segnale che, dopo la 48 ore di New York, gli eventi in Medio Oriente subiranno una svolta.

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