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Sud Africa, capitano nero per il rugby

Kolisi guiderà la nazionale in un Paese nuovamente lacerato dall'odio

Sud Africa, capitano nero per il rugby

Per andare avanti devi passare la palla indietro. Chi è abituato a giocare con uno strumento ovale sa adattarsi anche a regole (apparentemente) controintuitive. Lo imparano da bimbi in una delle patrie mondiali del rugby, il Sud Africa, che pensava di aver archiviato l'apartheid con Nelson Mandela e invece sta riscoprendo tensioni sociali e contrasti tra afrikaans bianchi e popolazione di colore dopo la fallimentare esperienza presidenziale di Jakob Zuma. Società e sport vanno di pari passo, crisi economica e corruzione hanno fatto (ri)affiorare le tensioni che il grande padre della nazione e la coppa del mondo di rugby organizzata (e vinta) nel 1995 erano riusciti a sedare. In quella nazionale che unì per la prima volta la Rainbow Nation (così la battezzò l'arcivescovo Desmond Tutu) l'unico giocatore di colore era Chester Williams. Oggi il testimone passa a Siya Kolisi che, dopo 28 caps in maglia Springboks, da giugno ne diventerà il capitano.

È una prima volta, lo sa bene il ct Johan Rassie Erasmus, in campo per il bronzo mondiale nel 1999. E forse è quello che serviva in questo momento a un Paese ancora dilaniato. Impoverito e furibondo. Le federazioni sportive stanno cercando, dopo una direttiva approvata dal Parlamento, di introdurre una parità di quote tra gli atleti. Ma il Transformation Strategic Plan rischia di restare lettera morta o, peggio, di produrre divisioni ancora più marcate. Sono le qualità il miglior sponsor all'integrazione. Ne è convinto il tc Erasmus: «La scelta è caduta su uno dei giocatori che hanno più degnamente rappresentato gli Springboks - ha spiegato - Essere capitano è un grande onore e sono certo che Siya saprà essere all'altezza. È un grande lavoratore e gode del rispetto dei compagni». Terza linea ala, 97 presenze nel Super Rugby (il campionato migliore del mondo che raggruppa club sudafricani, neozelandesi, australiani e argentini), Kolisi è pronto per «essere» il Sud Africa.

Nel 1995 Mandela suggerì ai giocatori bianchi (tutti meno uno) di imparare Nkosi Sikelele, l'inno nazionale in lingua xhosa (il dialetto dei neri). Fu il segreto per riunire la nazione, oltre al coloured Williams schierato pilone dai quarti in poi. Ventritre anni dopo Erasmus mette (idealmente) la fascia al braccio di Kolisi. Il prossimo passo, al di là delle quote imposte per legge che esacerbano invece di pacificare, sarà un allenatore di colore. Forse lo stesso Chester. «Non è un segreto che prima o poi vorrei allenare gli Springboks - ha detto 16 anni fa - Spero solo che nessuno faccia caso a quanti giocatori neri saranno in squadra. Sarebbe il più importante giorno del rugby sudafricano». Lui ha capito tutto dal '95.

Ha ascoltato Mandela.

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