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Sui mercati torna l'ora della paura

Pioggia di vendite: l'Europa brucia 270 miliardi, Milano a picco (-4,4%), Wall Street mai così male da tre anni

Sui mercati torna l'ora della paura

Solo cocci, sparsi ovunque. E la sgradevole sensazione che non sarà facile rimetterli insieme. Fragili come cristalli, le Borse si sono sgretolate ieri sotto il peso di vendite che hanno messo a ferro e fuoco i listini senza incontrare resistenza. Nelle sale operative, davanti ai monitor che rigurgitavano crolli alimentati dal panic selling, davanti al deserto pietrificato degli acquisti, qualcuno ha cominciato a sentire nell'aria la stessa cappa pesante che si respirava durante il crac di Lehman Brothers, a non riconoscere più alle banche centrali quel potere salvifico di governo dei mercati.

Solo esagerazioni, esasperate dai 276 miliardi polverizzati in una manciata di ore dai listini europei, con Piazza Affari (-4,4%, col Ftse-Mib precipitato a quota 18.304, ai minimi da dicembre 2013) affondata da un siluro costato 20 miliardi di capitalizzazione, e dal fatto che perfino Wall Street è stata incapace di suonare un altro spartito, al punto da accusare, alle ore 20 italiane, una flessione del 3%, la peggiore da quasi tre anni? Forse. La cronaca racconta di una ritirata nella trincea dei Bund e dei treasury Usa, i cui tassi sono collassati, e verso il porto sicuro dell'oro, balzato a 1.240 dollari l'oncia. Effetto collaterale dell'avversione al rischio, l'immediato surriscaldamento dello spread tra Btp e Bund a 166 punti, ben venti in più di martedì sera. Anche per colpa della conferma da parte dell'Istat del calo del Pil nel secondo trimestre dello 0,2%.

Di sicuro, il mercoledì nero è il risultato della peggiore congiunzione economico-finanziaria degli ultimi mesi, in cui si sono mescolati, in un cocktail micidiale, Grecia, stress test, petrolio, Ebola e dati macroeconomici negativi. La goccia che ieri ha fatto traboccare un vaso già reso pieno dal rallentamento dell'economia globale, certificato dalla raffica di tagli alle stime di crescita da parte del Fmi, è stato un report di Fitch. L'agenzia di rating ha nella sostanza messo in dubbio la solidità patrimoniale delle banche elleniche, che «restano zavorrate da pesanti problemi sui portafogli prestiti». Un carico di sofferenze così elevato (dal 29,7% della Banca Nazionale di Grecia a ben il 45,6% della Alfa Bank) da pregiudicare l'esito degli stress test che la Bce comunicherà domenica 26 ottobre. Una bocciatura annunciata che, secondo Der Spiegel Online, colpirà anche gli istituti italiani: «Ci sarebbero due-tre Paesi, per i quali i risultati sarebbero molto negativi. Candidati bollenti sono Italia e Cipro». Roba da far saltare sulla sedia il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, e mettere ancor più in croce i titoli delle nostre banche, risucchiati infatti nella spirale di un calo settoriale del 6,17% tra raffiche di sospensioni per eccesso di ribasso.

Ma non è stata solo Fitch a imprimere ai mercati un mood da panico, costato ad Atene un -6,25% e un'impennata dei suoi bond oltre il 7%. Una doppia bastonata riconducibile anche all'ipotizzato abbandono del salvagente lanciato dalla Troika e alla crescente popolarità di Alexis Tsipras, il leader del partito Syriza, fortemente avverso alle politiche di austerità. A tutto ciò si somma la diffusione del virus Ebola, il raffreddamento dell'inflazione in Cina e la gelata di quella tedesca, oltre ai deludenti dati su prezzi alla produzione e vendite al dettaglio Usa. Insomma, solo bad news. Perfino quella che un tempo sarebbe stata una buona notizia, cioè la discesa del petrolio a un soffio dagli 80 dollari, viene ora interpretata come la conferma di un'economia mondiale in affanno e che, dunque, ha meno sete di oro nero.

Un indebolimento - è il timore dei mercati - che non indurrà comunque la Bce a usare il «bazooka» tanto desiderato. Non almeno prima della fine dell'anno, nonostante i venti di deflazione soffino sempre più forti. Così, si torna a guardare alla Federal Reserve. Ora che neppure Wall Street sembra poter più ignorare il resto del mondo, c'è chi non esclude un quarto round di quantitative easing (QE4), altri sono convinti che il rialzo dei tassi è quantomeno rimandato. Ci sarebbe insomma ancora bisogno della stampella della banca centrale Usa.

Resta da vedere se Janet Yellen vorrà concederla.

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