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Sui morti per amianto i pm gelano la difesa: De Benedetti a giudizio

Confermata l'anticipazione del «Giornale». Per la procura di Ivrea la polvere che uccise gli operai era un'insidia che i manager conoscevano: «Fatto nulla per evitare la strage»

Non sono morti per fatalità i quattordici lavoratori dell'Olivetti stroncati dal mesotelioma pleurico tra il 2004 e il 2013. Per la procura di Ivrea l'amianto che li avvelenò lentamente era un'insidia di cui i vertici dell'azienda conoscevano perfettamente la presenza nei reparti e la terribile pericolosità. Eppure, poco o nulla venne fatto per impedire che la strage silenziosa continuasse. Per questo ieri, come anticipato lunedì scorso dal Giornale , i pm chiedono che vengano rinviati a giudizio trentatre manager e amministratori dell'azienda di Ivrea. Nell'elenco ci sono responsabili di reparto, capi divisione, tecnici. Ma anche i big, gli amministratori, i consiglieri: Carlo De Benedetti, suo fratello Franco, i figli Marco e Rodolfo, e poi Corrado Passera, Guido Roberto Vitale. Figure di primo piano della finanza italiana che in quegli anni governavano il gruppo fondato dal grande Adriano Olivetti, irripetibile figura di imprenditore illuminato. I suo successori, dicono le carte dell'inchiesta di Ivrea, in nome del profitto lasciarono che l'amianto seminasse la morte nei reparti, dove - come racconta uno degli operai sopravvissuti - a chi stava a contatto con le polveri non veniva data altra protezione che una mascherina.

De Benedetti e gli altri vertici hanno avuto tre mesi di tempo, dopo che la Procura aveva annunciato la fine delle indagini preliminari, per presentarsi ai pm, spiegare, raccontare la loro verità. Non lo hanno fatto; e questo silenzio ha reso pressoché inevitabile la richiesta di rinvio a giudizio. Solo i figli dell'Ingegnere hanno inviato le loro memorie difensive, ma senza cambiare la loro sorte, perché gli inquirenti non vi hanno trovato nulla che portasse a smontare gli elementi a loro carico. Sarà, verosimilmente intorno a gennaio o febbraio, l'udienza davanti al giudice preliminare a decidere se i trentatre imputati dovranno affrontare il processo per omicidio colposo plurimo aggravato chiesto per loro dalla procura della Repubblica. Due capi d'accusa per lesioni personali gravi riguardano i casi di due dipendenti sopravvissuti al tumore, e qui tra gli imputati c'è anche Roberto Colaninno.

Ieri, di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio, Carlo De Benedetti reagisce polemicamente, liquidando come «mere ipotesi» quelle formulate dai pm, e ricordando che l'accusa «deve essere ancora sottoposta al vaglio di un giudice». A dimostrare la inconsistenza delle tesi, secondo l'Ingegnere è il fatto stesso che siano state incriminate «persone che non avevano alcuna responsabilità operativa nella società».

In realtà proprio sul tema cruciale delle «responsabilità operative» la Procura è convinta di avere raccolto assai più che mere ipotesi: in particolare grazie alla mole di documenti sequestrati negli uffici e nell'archivio storico dell'Olivetti, analizzati in una ponderosa perizia dall'avvocato Giancarlo Guarini, consulente dei pm.

Per la Procura l'analisi degli assetti organizzativi del gruppo ha dimostrato come le strutture che si occupavano direttamente della sicurezza sul lavoro (e che, come dimostrano numerosi documenti, erano pienamente consapevoli dei rischi connessi alla presenza dell'amianto nei reparti e negli uffici) rispondessero all'amministratore delegato, cioè, per il periodo dal 1978 al 1996, a Carlo De Benedetti. Si trattava, secondo le carte dell'accusa, di strutture senza i poteri e le capacità di spesa necessari per decidere autonomamente dove e come intervenire per gli interventi di bonifica.

Le decisioni, per i pm, venivano dai piani alti.

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