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Sul voto Usa il Cremlino nega "Interferenze? Chiacchiere"

Per il consigliere alla Sicurezza nazionale McMaster ci sono «prove incontrovertibili» del ruolo della Russia

Sul voto Usa il Cremlino nega "Interferenze? Chiacchiere"

S olo chiacchiere per il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, nessuna collusione per il presidente americano Donald Trump. L'incriminazione di 13 cittadini russi e tre entità legate a Mosca per interferenze nelle elezioni Usa rappresenta una nuova svolta nel Russiagate. Tuttavia, se alcuni pensano sia solo la punta dell'iceberg, altri la ritengono la conferma che il procuratore speciale Robert Mueller non ha trovato alcun coordinamento tra loro e la campagna elettorale del tycoon. Visto che nelle 37 pagine del documento si afferma chiaramente come nessuno nella campagna di Trump fosse coinvolto consapevolmente o inconsapevolmente con i russi.

Anche se fonti vicine all'inchiesta spiegano ai media Usa che l'incriminazione è soltanto l'inizio: Mueller continuerà a indagare per accertare se Trump si sia macchiato del reato di collusione o di ostruzione della giustizia, e il lavoro degli investigatori andrà avanti ancora per mesi. «Nessuna collusione» con Mosca, tuona su Twitter il Commander in Chief, commentando gli ultimi sviluppi. «La Russia - scrive - ha iniziato la sua campagna anti Usa nel 2014, ben prima che io annunciassi la mia candidatura alla presidenza. I risultati delle elezioni non sono stati influenzati. La campagna di Trump non ha fatto niente di sbagliato». «Non possiamo permettere a quelli che seminano confusione, discordia e rancore di vincere», aggiunge poi The Donald, sottolineando che «è tempo di fermare gli attacchi di parte, le accuse false e violente, le teorie inverosimili, che hanno il solo scopo di favorire i propositi di cattivi attori come la Russia e di non fare nulla per proteggere i principii delle nostre istituzioni». Per Trump bisogna «essere uniti come americani per difendere l'integrità della nostra democrazia e delle nostre elezioni». Anche se il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, H. R. McMaster, sostiene che l'incriminazione dei 13 soggetti è una prova «incontrovertibile» dell'interferenza di Mosca nelle presidenziali.

Il ministro degli Esteri russo Lavrov liquida invece la vicenda con poche parole: «Fino a quando non vediamo fatti, tutto il resto sono solo chiacchiere». E le accuse di intromissione hanno «rovinato la fiducia» tra le due potenze per l'ex ambasciatore di Mosca a Washington, Sergei Kislyak, richiamato in patria la scorsa estate (aver omesso i loro incontri ha costretto alle dimissioni l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn).

Nel frattempo emerge che tra i cittadini incriminati c'è anche Evgeni Prigozhin, noto come lo «chef di Putin». L'oligarca, amico stretto del leader del Cremlino, è accusato di aver finanziato la società tecnologica «Internet Research Agency» (Ira) di San Pietroburgo, la cosiddetta troll factory, che secondo Mueller avrebbe usato i social media per diffondere fake news nelle elezioni Usa. Dopo aver passato nove anni in carcere negli anni Ottanta per frode e rapina, Prigozhin si è lanciato nel settore del catering e della ristorazione, arrivando a organizzare le feste di compleanno di Putin e le cene dei suoi ospiti, da George W. Bush a Jacques Chirac (da qui il soprannome). Ha anche vinto contratti redditizi per le scuole e le forze armate russe, ed è stato sanzionato dal Tesoro americano per il suo sostegno finanziario all'occupazione militare di Mosca in Ucraina.

In risposta agli arresti, intanto, Facebook fa sapere che è in corso un potenziamento del suo personale specializzato sulla sicurezza, con un raddoppio fino a ventimila unità.

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