Cultura e Spettacoli

Il suo tocco da regista: trasformare in film le nostre vite (vizi inclusi)

In 60 pellicole un ritratto del Paese senza volgarità Scoprendo tanti attori. E fuggendo la nostalgia

Il suo tocco da regista: trasformare in film le nostre vite (vizi inclusi)

Lui ci conosceva bene. E sapeva rappresentarci, con un sorriso affettuoso. Come solo la comicità più alta, quella satirica, sa fare. Peraltro nel nome del padre, il regista Stefano Vanzina in arte Steno. Carlo Vanzina, classe 1951, è morto ieri - come hanno scritto la moglie Lisa Melidoni e il fratello Enrico in una nota - «nella sua amata Roma, dov'era nato, ancora troppo giovane e nel pieno della maturità intellettuale, dopo una lotta lucida e coraggiosa contro la malattia». I funerali saranno celebrati domani alle 11 presso la Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma.

Prima della regia, Carlo Vanzina sognava di fare il critico: «Ero malato di cinema. Passavo ore al Filmstudio a scovare pellicole rarissime. Partivo per Parigi e mi rinchiudevo nella Cinémathèque». Dal 1976, con Luna di miele in tre con Cochi e Renato, ha diretto 60 (sessanta!) pellicole per il cinema e 6 per la tv, quasi tutte commedie, insieme al fratello Enrico alla sceneggiatura. Tutto in soli 42 anni, con una prolificità che celebrava le vestigia della messa in scena industriale, ma non seriale, della paterna commedia all'italiana.

Che cosa resterà dunque di questa sterminata filmografia? Come per la canzone simbolo di Raf, anche per Carlo Vanzina saranno gli anni '80 (non a caso la casa di produzione l'ha chiamata International Video 80) quelli fondativi, seminali di un cinema che non demonizzava il lato commerciale (l'attenzione alla colonne sonore e l'archeologia del product placement) ma che è poi proseguito fin troppo immutabile. Così la messa in scena della società in titoli come Sapore di mare del 1983, autentico capolavoro del cinema italiano, Vacanze di Natale (considerato il capostipite dei «cinepanettoni», da lì nacque il soprannome «fratelli vacanzina»), Amarsi un po', Yuppies - I giovani di successo, Via Montenapoleone, Le finte bionde rappresenta una radiografia anticipata dell'Italia che abbiamo capito solo successivamente. Del loro sguardo, fino all'ultimo divertissement Caccia al tesoro, si apprezza il fatto di non essere mai verticale, non si erge dunque dall'alto, ma orizzontale, si immerge nei personaggi: «Abbiamo capito che si poteva fare cinema con l'autobiografia, col nostro mondo: i Parioli, la borghesia romana. Per esempio il ragazzo romanista maniaco dei giallorossi nel primo Vacanze di Natale è ispirato al nostro amico Giovanni Malagò». Anche per questo il cinema dei Vanzina raramente risulta volgare. Ricordiamo che Vacanze di Natale 2000 è stata l'ultima collaborazione con De Laurentiis: «Durante le riprese - ha raccontato il regista a Vittorio Zincone su Sette - provò a infilare nel cast Monica Lewinsky che si sarebbe dovuta esibire in un servizietto su una seggiovia. Mi sono opposto».

«Ai fratelli Vanzina va riconosciuto il merito di aver fatto non film nostalgici sul passato, ma film distopici sul futuro» ha scritto l'altro giorno Aldo Grasso sul Corriere della Sera a proposito di Jerry Calà. Così come solo dopo abbiamo capito il «vero» lavoro di Carlo Vanzina ossia il talent scout. Ecco dunque i Gatti di Vicolo Miracoli (Jerry Calà, Franco Oppini, Umberto Smaila), Christian De Sica, Claudio Amendola, Massimo Boldi, Nino Frassica, Massimo Boldi, Ezio Greggio, Isabella Ferrari, Monica Bellucci E poi il vertice delle scoperte, Diego Abatantuono con il suo «terrunciello» de I fichissimi («Un film scritto in un mesetto, costato 400 milioni di lire, incassò 8 miliardi») e di Viuuuulentemente mia, Eccezzziunale veramente, Il Ras del quartiere.

In attesa che la critica più avveduta metta ordine in una filmografia così vasta (aspetta e spera...), di Carlo Vanzina si ricorda anche il lato umano, la professionalità estrema, così come l'amore corrisposto con le troupe (e nel cinema capitolino non è cosa automatica), oltre che l'eleganza dei modi e la cultura profonda (On the road di Kerouac, Lord Jim di Conrad e Viaggio al termine della notte di Céline erano i suoi libri della vita).

In poche parole quello che un tempo si diceva «un signore», proprio come Totò con cui aveva esordito come attore a un anno di età: «Signore si nasce ed io lo nacqui, modestamente!».

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