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Sventata la manovra di Di Matteo: il boss non parla

Graviano, citato in campagna elettorale, in aula tace. Nelle intercettazioni nominava il Cav

Sventata la manovra di Di Matteo: il boss non parla

La manovra, temporalmente, era perfetta. Silvio Berlusconi è di nuovo in piena ascesa anche a livello internazionale come leader in grado di arginare i populisti, il Cavaliere è tornato centrale nel panorama politico italiano (vedi la legge elettorale), tra due settimane in Sicilia ci sono le elezioni Regionali, la campagna elettorale è al culmine. In questo quadro, quindi, cosa poteva esserci di meglio di un boss mafioso in un'aula di giustizia da interrogare su Cavaliere e Forza Italia? E infatti proprio ieri era stato chiamato a deporre al processo sulla trattativa Stato-mafia - che per inciso è cominciato nel 2013, e che ieri ha toccato quota duecento udienze - Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio intercettato in carcere col suo compagno di ora d'aria a dire in libertà frasi contro Berlusconi, prontamente registrate e acquisite agli atti qualche mese fa. Ma il piano non è andato a segno. Il boss prontamente citato dal pm Nino Di Matteo, titolare dell'accusa al processo di Palermo anche se ormai è stato trasferito a Roma, alla Dna, ha guastato la festa e ha fatto scena muta. Collegato con l'aula bunker di Palermo in videoconferenza Graviano ha parlato, sì, ma solo per pronunciare la formula di rito: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». E niente show.

C'era una certa attesa al processo, dopo che in anteprima quest'estate erano andati in scena i verbali delle intercettazioni tra il capomafia di Brancaccio e il suo compagno di cella Umberto Adinolfi, parole in libertà (ma quanto parlano i boss, specie se sospettano, con ragione, di essere ascoltati dalle microspie) condensate in circa 5mila pagine in cui la parola «Berlusconi», effetto mediatico assicurato, compare qua e là. Dell'udienza show c'era stata una piccola anteprima, giovedì, con una battaglia tra periti: quelli dell'accusa a dire che il capomafia diceva «Berlusca», indicando l'ex premier; e quelli della difesa, che giurano che il boss, altro che «Berlusca», dice «bellissimo».

E cosa abbia detto davvero, almeno per ora, non si saprà. Graviano si è presentato regolarmente all'udienza di ieri, in videconferenza dal carcere di Terni in cui è detenuto. E ha chiesto - è diritto suo e di chiunque compaia in aula - di non essere ripreso dalle telecamere. Quindi è toccato al presidente della Corte d'assise Alfredo Montalto informarlo del perché della chiamata a deporre, ricordandogli che da indagato di reato connesso poteva avvalersi della facoltà di non rispondere. Opzione che Graviano ha accolto subito: «Mi avvalgo». Punto, fine. E giù il sipario.

Fine dello spettacolo.

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