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Svolta tra i magistrati: sì alle leggi speciali per fermare la jihad

L'idea del vicepresidente dell'Anm: stretta sulla cittadinanza ed espulsioni preventive

Svolta tra i magistrati: sì alle leggi speciali per fermare la jihad

Fuori dall'Italia subito chi delinque, senza aspettare la sentenza definitiva: sarebbe una rivoluzione, rispetto alla palude dell'eterna accoglienza anche a violenti e criminali. E a rendere solida la proposta è il fatto che venga dai vertici dell'Associazione nazionale magistrati, finora propensa più al garantismo che al rigore. A lanciarla è Antonio Sangermano, vicepresidente dell'Anm, nonché procuratore della Repubblica per i minorenni a Firenze, con una intervista al Mattino che segna una svolta, perché indica in concreto, oltre all'espulsione immediata, anche altre misure eccezionali in grado di fermare l'avanzata islamica. Oggi, dice Sangermano, la magistratura è disarmata.

Erano finora voci isolate tra le toghe: come quella di Giovanni Tartaglia Polcini, pm beneventano in prestito al Ministero degli Esteri, che già un anno fa invocava «un nuovo diritto che tenga conto della specialità della minaccia». Ma ora è un esponente di punta della magistratura a sposare la necessità di mettere mano alle normative, sia stringendo i cordoni dell'accoglienza che inasprendo i metodi della repressione: perché, spiega Sangermano, «lo schema tradizionale che coniuga i principi democratici a quelli della libera circolazione non è più adeguato a contrastare il terrorismo perché lascia spesso la magistratura priva di armi efficaci per prevenire gli intenti criminosi».

A dover essere messo in discussione è, secondo il vicepresidente dell'Anm, anche la libertà di movimento all'interno del nucleo centrale dell'Europa, garantita dal trattato di Schengen: «Occorre andare oltre il mantra rituale secondo cui Schengen non si tocca». E l'arma principale deve essere quella delle espulsioni preventive per ragioni di sicurezza nazionale. Quando il ministro degli Interni Marco Minniti ha indicato questa strada è stato accusato di avere un approccio brutale ala questione, ma Sangermano ne sposa in pieno la linea e si spinge anche più in là: «É uno strumento che va rafforzato e ampliato. Non si può più attendere che una sentenza passi in giudicato per espellere un soggetto radicalizzato. Occorre un intervento legislativo che consenta di espellere chi delinque senza attendere il terzo grado di giudizio. Non possiamo più consentire che pregiudicati privi di cittadinanza possano soggiornare impunemente sul nostro territorio. Per chi commette reati che rivelano pericolosità sociale nessun salvacondotto».

E, di fronte all'obiezione che alcuni sospettati di simpatie jihadiste hanno in realtà passaporto italiano, Sangermano propone di mettere mano anche alle norme sulla cittadinanza: «É tempo di sottrarre l'iter della cittadinanza a meccanismi automatici. Diritti e doveri devono essere fissati in uno statuto dell'immigrato che ancori l'accoglienza nel nostro paese al rispetto delle leggi. Chi intende diventare italiano dev'essere sottoposto a verifiche severe e progressive che dimostrino come l'aspirante cittadino accetti e condivida i valori democratici. Non possiamo più permetterci il rischio che l'Italia sia vista come il paese di Bengodi».

Parole forti, rese necessarie secondo il procuratore Sangermano da una situazione drammatica: se non si interviene, dice, «l'immigrazione metterà a rischio la tenuta democratica del paese».

Sangermano è il vicepresidente dell'Anm. Ma quanti saranno i suoi colleghi a pensarla come lui?

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