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Una talpa in via XX Settembre spifferava i dossier del Fisco

La consulente del Tesoro Susanna Masi avrebbe girato per 220mila euro notizie riservate a Ernst & Young

Una talpa in via XX Settembre spifferava i dossier del Fisco

Lavorava per il ministro dell'Economia. Prima Fabrizio Saccomanni, ora Pier Carlo Padoan. Ma in realtà, secondo la procura di Milano, si era ritagliata un altro particolarissimo ruolo: consigliere dei consiglieri giuridici di società e imprese. Susanna Masi era una sorta di testa di ponte del colosso Ernst & Young negli uffici di via XX Settembre. Passava informazioni riservate, soprattutto in tempo reale, su una materia complicata e in continuo divenire come quella fiscale e, già che c'era, raccoglieva i suggerimenti della controparte, fra i big della consulenza legale tributaria, e cercava di inserirli nel già contorto cantiere legislativo. Quasi una fiction trasformata in realtà e ambientata ai piani alti del governo.

Ci sono dunque suggestioni fortissime ma anche punti di oggettiva debolezza nell'indagine emersa dopo tre anni di lavoro sotterraneo da parte dei pm che sono venuti allo scoperto solo perché oltre non si poteva procedere. Così hanno notificato l'atto di chiusura del fascicolo, anticipato ieri dal Corriere della Sera, e hanno dovuto rompere il silenzio.

Agli atti ci sono circa trecento mail e decine di intercettazioni sull'asse fra la scrivania ministeriale della Masi e il quartier generale di Ernst & Young; contemporaneamente i magistrati hanno trovato sui conti correnti della donna pagamenti «per almeno 220mila euro» da parte della società americana per cui la donna lavorava prima di compiere il grande salto verso le poltrone del potere.

Ce n'è abbastanza per contestare a Ernst & Young e al suo partner e rappresentante italiano Marco Ragusa la corruzione della Masi che deve rispondere di altri due reati: rivelazione di segreto d'ufficio e false attestazioni personali. L'esperta infatti aveva evitato, al momento di entrare nella stanza dei bottoni, di accennare alla propria vita precedente e non aveva speso una parola sul suo conflitto d'interesse, almeno potenziale.

Stupisce però, al di là dell'impegno della magistratura, che nessuno avesse controllato almeno di sfuggita il suo curriculum. Anzi. Nel comunicare con i suoi vecchi compagni di lavoro, la Masi utilizzava la mail con l'intestazione aziendale. E nel giugno del 2015, a suggello di una carriera che sembrava strepitosa, era stata nominata fra i 5 consiglieri di amministrazione di Equitalia, la potente società di riscossione che oggi ha cambiato nome, autentico incubo per centinaia di migliaia di connazionali.

Il flusso di informazioni sarebbe partito all'inizio del 2013 e sarebbe andato avanti almeno fino a gennaio 2015. Le Fiamme gialle di Busto Arsizio, che sono partite da una costola dell'indagine sulla rete di riciclaggio transnazionale creata dal barone svizzero Filippo Dolfus De Volckesberg, hanno trovato numerose tracce dei rapporti a dir poco singolari fra la Masi e i suoi ex colleghi. Più problematico appare il successivo passaggio investigativo: capire chi siano stati i beneficiari di questo network segreto, cresciuto negli interstizi delle istituzioni. I nomi dalle carte non saltano fuori e questo spiega la prudenza dei detective che hanno atteso anni prima di chiudere il cerchio. Si sa solo, ed è quasi scontato, che il ministero dell'Economia è parte offesa e ancora da una mail del 30 maggio 2013 e da un'intercettazione del 28 marzo 2014 si capisce che la Masi aveva riversato ai suoi ex datori notizie riservate sulla proposta di introdurre una tassa europea sulle transazioni finanziarie. Come indicato dal tavolo creato fra 11 Paesi europei. Oltre non si è andati, e gli indizi, pure robusti, hanno mantenuto il loro fascino ma hanno perso parte della loro forza.

Attraverso l'avvocato Giorgio Perroni, la consulente sfida gli inquirenti: «Sono pronta a farmi interrogare e a dimostrare la correttezza del mio operato».

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