Politica

Tangenti, si sospende il deputato Pd nella bufera

RomaL'ombra di tangenti milionarie per il deputato Pd ed ex assessore Marco Di Stefano, che ieri si è autosospeso dal partito dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta sulla presunta truffa all'Enpam insieme ai costruttori Antonio e Daniele Pulcini, potrebbe non essere l'unica preoccupazione sollevata dalla vicenda per il Partito democratico. Nelle intercettazioni dell'indagine affidata ai pm romani Corrado Fasanelli e Maria Cristina Palaia, infatti, emergono diversi «sfoghi» del deputato, che tra l'altro tira in ballo le primarie del Pd per la scelta dei candidati alle politiche, bollandole come «finte» e «vinte con l'imbroglio».

Una storiaccia, di certo. Nella quale Di Stefano entra perché secondo i pm, quand'era assessore alle Risorse umane, Demanio e Patrimonio della Regione Lazio nella giunta di Piero Marrazzo, «al solo fine di soddisfare gli interessi economici» dei due imprenditori edili, tra 2008 e 2009 avrebbe fatto affittare da Lazio Service due immobili dei Pulcini a un prezzo «esorbitante e del tutto fuori mercato», oltre 7 milioni di euro l'anno per i due edifici. Permettendo così di vendere successivamente gli immobili all'Enpam a un prezzo raddoppiato, grazie all'incremento di valore ottenuto con le «superlocazioni». Di Stefano, si legge nelle carte, si faceva in cambio «dare e promettere» da Daniele e Antonio Pulcini «una somma di denaro pari a 1,8 milioni», più 300mila euro versati al suo collaboratore Alfredo Guagnelli, misteriosamente scomparso dall'8 ottobre 2009. Proprio la moglie divorziata del deputato Pd, il 19 gennaio 2010, mette a verbale di aver saputo dal fratello di Guagnelli, Bruno, che «il rapporto tra Daniele Pulcini e mio marito Marco era contraddistinto da forti interessi economici», riferendo che Di Stefano «aveva percepito 1,8 milioni di euro di “mazzette”».

Intercettato, Di Stefano finisce per tirare in ballo il suo partito. A gennaio 2013 finisce 17esimo alle primarie del Pd. Ma la direzione del partito lo fa slittare più in fondo. Gli inquirenti annotano «la volontà di rivelare ai media scomodi retroscena, inclusi i brogli che a suo dire avrebbero contraddistinto» le primarie del Pd. Di Stefano, l'8 gennaio, si infuria al telefono con un certo Amedeo: «Adesso comincia la guerra nucleare proprio, insomma, la guerra nucleare a comincia' da Zingaretti e tutto il resto, per quanto mi riguarda adesso casca Sansone con... se penso che se salvano tutti meno che io, li tiro tutti dentro».

«Chiaramente sono dei maiali (...) Ho fatto le primarie con gli imbrogli», sbotta il futuro parlamentare. Rispolverando con un certo Antonio lo scandalo dei fondi regionali, ma in salsa Pd: «L'ho detto pure agli altri, i consiglieri regionali, cioè non è che potete pensare che se salvano tutti e io non me salvo, perché così se imbarcamo tutti, ricominciamo dai fondi del gruppo regionale, riavvolgiamo il nastro e ricominciamo di là». Insomma, non solo Fiorito? Di Stefano è un fiume in piena in quella telefonata, «da oggi andiamo tutti i giorni sui giornali, eh?», minaccia, e l'interlocutore prova a contenerlo. «Stai calmo», gli dice Antonio, «che fai, i fondi regionali... non è che risolvi il problema». Ma lui non sembra voler mollare: «Eh, caschi Sansone con tutti i Filistei - ringhia - casco io, ma cascano pure quegli altri, vedrai che non se candida più nessuno, no. Facciamo i filmati delle cose, delle primarie, cominciamo con le denunce... non è che possono pensa' che io me faccio ammazza' da loro così, no, non sta né in cielo né in terra.

Ce rimetteremo tutti».

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