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"Tassare i giganti del web". Ma il G20 naufraga sui dazi

Il testo finale conferma le difficoltà dell'economia, ma non impegna gli Usa per una pace nei commerci

"Tassare i giganti del web". Ma il G20 naufraga sui dazi

Il peso delle «tensioni commerciali e geopolitiche» continua a gravare sulla crescita di una economia globale che comunque - nel breve periodo - mostra segni di stabilizzazione. È quanto scritto nel documento finale del G20 finanziario che si è concluso ieri a Fukuoka, in Giappone. La dichiarazione impegna le parti ad essere «pronte ad agire per adottare ulteriori azioni» nel caso le frizioni non dovessero appianarsi. Ma nel testo finale si è preferito evitare appelli diretti a rimuovere dazi e frenare quelle escalation commerciali che tengono in allarme l'economia internazionale. Una scelta obbligata poiché esprimersi altrimenti avrebbe significato stigmatizzare le scelte di politica economica dell'amministrazione Trump. Ecco perché il riferimento alla «necessità di risolvere le tensioni nel commercio» è stato espunto dal comunicato finale del summit. Ha prevalso, così, la linea di Washington e il G20 rinuncia a impegnare gli Stati Uniti per una pace nella guerra commerciale.

La guerra dei dazi è «la principale minaccia» alla crescita globale, ha affermato il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. L'Fmi stima che lo scontro commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina potrebbe ridurre il livello del Pil globale dello 0,5% nel 2020, ovvero circa 455 miliardi di dollari statunitensi» e questo «potrebbe avere una significativa incidenza negativa sulle attese di andamento economico» e, ha chiarito Lagarde, «danneggiare le opportunità di ripresa». Il ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire ha specificato che «nelle discussioni è stata espressa grande preoccupazione sui rischi di guerra commerciale tra Usa e Cina, tanto che tutti i Paesi hanno chiesto a loro due di ridurre le tensioni, esortandoli a fare tutto il possibile per evitare uno scontro che avrebbe impatto negativo, duraturo e profondo sulla crescita». Le Maire ha anche chiesto negoziati tra Pechino e Washington su un accordo di riforma del Wto a difesa del «multilateralismo per la soluzione dei conflitti».

Il segretario Usa al Tesoro, Steven Mnuchin, ha incontrato il governatore della Banca centrale cinese, Yi Gang, scrivendo su Twitter di «un incontro costruttivo» e di una «discussione sincera». Nessun riferimento, invece, al summit tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping al G20 dei leader di Osaka di fine giugno. Dal loro faccia a faccia, come ammesso da Mnuchin, dipenderà l'esito dei negoziati.

I progressi più rilevanti sono stati registrati sulla cosiddetta «tassa digitale». I ministri delle Finanze hanno concordato di adottare regole comuni per colmare le scappatoie utilizzate dai colossi tecnologici multinazionali per eludere i regimi fiscali degli Stati dove operano. Una stretta che dovrà essere adottata con una soluzione «basata sul consenso» entro il 2020. I Paesi del G20 si sono, infatti, impegnati a «raddoppiare» entro la fine del prossimo anno gli impegni per raggiungere l'obiettivo. L'idea è di tassare Amazon, Facebook e Google e altre multinazionali digitali non più sulla base della sede legale, ma del luogo dove è registrato il loro fatturato.

È lo schema portante della web tax che l'Italia ha predisposto, ma non attuato (proprio in attesa di Fmi, Ocse ed Ecofin) e che prevede un'aliquota del 3% per le aziende con oltre 750 milioni di ricavi di cui almeno 5,5 milioni da servizi digitali.

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