Cronache

La "tavola dello chef". Il privé dei gourmet per cene da guardoni

Al «Piccolo Lago» di Marco Sacco si può vivere un'esperienza immersiva e quasi narrativa

La "tavola dello chef". Il privé dei gourmet per cene da guardoni

Un tavolo in legno spesso e bellissimo, su misura, cercato per mesi in giro per il mondo e infine trovato. Due o tre sgabelli su cui ti issi inizialmente trepidante. Un piatto, qualche bicchiere, degli alloggiamenti che ospitano delle vaschette in cui finiscono le posate e gli altri attrezzi con cui dovrai affaccendarti per contribuire alla preparazione di alcuni piatti. Davanti, un vetro scorrevole, più spesso aperto che chiuso, che diventa un sipario verso la cucina. Attorno una sorta di capsula in cui lo spazio scivola ma il tempo in compenso si ferma. Alla fine guarderai l'orologio, o il telefonino dimenticato chissà dove, e scoprirai di aver trascorso là dentro tre ore buone di «kitchen watching», di chiacchiere, di piatti serviti come se fossero stati cucinati apposta per te (ma, ehi, sono stati cucinati apposta per te!), addirittura ideati al momento anche se sai benissimo che non è vero.

Quella che raccontiamo (e che si chiama «In cucina con gli chef») è un'esperienza a suo modo unica in Italia. Una tavola dello chef che diventa non ingombro, non strapuntino, non spioncino attraverso il quale guardare il grande chef che cucina e tu immagini che quella sera tutti i membri della brigata fanno i bravi, e non litigano, e si segnano mentalmente gli sgarri e gli errori per sbranarsi dopo, quando nessuno li guarda. Una tavola dello chef che diventa teatro attivo, che diventa strumento di partecipazione, che diventa dibattito (un «cucineforum» come negli anni Settanta), che diventa racconto di storie più ancora di quanto non lo sia ogni cena con dietro un pensiero e un percorso, in fondo. L'esperienza l'abbiamo fatta al Piccolo Lago, il ristorante bistellato che Marco Sacco conduce in riva al Mergozzo (il piccolo lago della title track) e ci ha detto molto, oltre che sulla bravura del cuoco (che non ha certo bisogno del nostro timbro sul suo passaporto, che vanta già «visti» per Hong Kong, dove aprirà presto il Castellana, e per Torino, dove ha il «Piano 35» in cima al grattacielo più alto della città) ma anche su come l'alta cucina, il fine dining, possa inventare nuovi modi di raccontarsi e di emozionarci.

Per il viaggio vieni convocato alle 19,30, ma se ritardi di qualche minuto non cade il mondo. Le tappe non sono note, ti viene solo chiesto di eventuali allergie o disgusti. Quindi, via. Sul tavolo - a cui arrivi dopo una sosta in cantina in cui vivi il prologo di uno Champagne e di prosciutto 42 dell'altipiano vigezzino - sfilano alcuni snack, e poi numerosi piatti portati di volta in volta da membri diversi dello staff, spesso dallo stesso chef, che spiegano, a richiesta raccontano, qualche volta tacciono per vedere la tua faccia. Ricordi memorabili: il Lingotto (trota affumicata, gelatina la lampone, pane all'aceto nero, fiori eduli), Radici (scorzonera sotto calce su gel di aceto di dattero e salsa maltese), Tartufo (senza parte esterna, seccata e frullata e usata come panatura del cuore cotto sottovuoto a 130 gradi, con burro al midollo aromatizzato al limone e salsa Perigord), poi una Zuppa di cipolla, una Carbonara per la quale vieni invitato ad alzarti in modo da poterla vedere fatta come nella spaghettata tra amici e che malgrado sia strapiena di licenze (tra le eresie il prosciutto crudo disidratato, la cialda di latte, il burro di montagna) e pure essendo tu romano trovi sontuosa; quindi ci si tuffa nel lago con il Coregone accompagnato dalla sua lisca da sgranocchiare e con la mitologica Anguilla e infine con la Grigliata mista che viene presentata come si fosse in trattoria, con il foglione di lattuga. Ma la parte più bella è la chiacchiera con Marco, che scopri essere tuo coetaneo, e poi essere stato campione di windsurf, e poi figlio d'arte (il Piccolo Lago era l'insegna del papà) e poi lui che dice a un certo punto: «Farò lo chef stellato» e poi ci riesce, e poi lui che va in Francia da Vergé ad aprire uova inizialmente, e poi lui che conosce la moglie e lo racconta come fosse la sceneggiatura di un film romantico che alla fine tutti piangono.

Tutto bene, ma quindi? Ai tavoli dello chef ci siamo seduti altre volte e ce ne sono di notevoli (quello teatrale del Cambio di Torino, quello sto-qui-buono-e-zitto di Andrea Berton, quello da tempio zen di Piazza Duomo) ma per noi quella di chef Sacco apre un capitolo nuovo nel modo di concepire un'esperienza davvero immersiva.

Buone notizie, quindi: la cucina italiana è viva e vegeta, e va a tutto vento su un windsurf sul (piccolo) lago di Mergozzo.

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