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Tenda e segni di valanga. Ma nessuna traccia degli alpinisti scomparsi

Le ricognizioni in elicottero sul Nanga Parbat Si cercano ancora Daniele Nardi e Tom Ballard

Tenda e segni di valanga. Ma nessuna traccia degli alpinisti scomparsi

Quinto giorno di attesa, un'altra alba di speranza. A cercare Daniele Nardi e il britannico Tom Ballard, inghiottiti da domenica, in quel mondo di neve e ghiaccio del Nanga Parbat, saranno in cinque. Acclimatati e pronti a salire a piedi sono quattro alpinisti russi, che dal K2, si aggiungeranno alle ricerche. In volo, invece, lavorerà, come già ieri, l'alpinista pakistano Ali Sadpara, fra i primi salitori del Nanga in inverno, esattamente tre anni fa, insieme ad Alex Txikon, Tamara Lunger - che arrivò a 70 metri dalla vetta e Simone Moro. Era il 26 febbraio 2016. Quota 8.126, nona montagna della terra. Prima invernale assoluta. Martedì scorso, invece, terzo anniversario di questa impresa epica, il pessimismo era già alto. «Quando hai satellitare, radio e pile frontali è difficile che tutto si scarichi contemporaneamente e in ogni caso avvisi prima del problema». A spiegare i possibili scenari prova proprio Moro che del Nanga e delle invernali sugli Ottomila è signore assoluto, oltre ad essere anche uno dei più esperti piloti di elicottero, impegnato da anni in Nepal nel soccorso d'alta quota. Dove sono Daniele e Tom? Gli ultimi messaggi arrivano da quota 6.400, in mezzo alle pieghe della montagna. Poi il silenzio e l'oscurità: nessuna luce è più arrivata dalla parete. «Quello sperone mi ha subito fatto così paura che ho sempre rifiutato l'idea di scalarlo», ammette Moro, segnando un limite fra sogni e concretezza. «Nessuno in realtà lo ha mai scalato. Nemmeno quell'Albert Mummery, cui è dedicato e che, invece, pure si rese conto a fine 800 - della pericolosità di quella parete e scelse un'altra via, trovandovi ugualmente la morte». Una linea di 1.200 metri di roccia bellissima, «tanto perfetta quanto minacciata da seracchi sospesi che scaricano blocchi di ghiaccio enormi, in ogni stagione», è la sintesi di Moro che prosegue: «Solo Reinhold Messner, nel giugno del 1970, passò di li, ma con la forza della disperazione e in discesa, quando poi suo fratello fu travolto da una valanga». Ieri, oltre ad una fondamentale finestra di bel tempo, a rasserenarsi è stata anche la situazione politica sopra al cielo del Kashmir, con il rilascio del pilota indiano trattenuto in Pakistan. La diplomazia ha, così, vinto sul delicato «risiko» dei luoghi e l'aviazione pakistana ha permesso i primi due sorvoli sullo sperone dove Daniele e Tom sono «appesi» alla vita e alla roccia. A bordo dell'elicottero Ali Sadpara ha aguzzato gli occhi: degli alpinisti, però nessuna traccia. Anche quella tendina che spuntava, intorno a quota 5.500 metri, malconcia e lambita da segni di grandi valanghe, non è dove Nardi e Ballard avevano piazzato campo 3: potrebbe essere un vecchio riparo, abbandonato da altre cordate. «A queste quote, intorno ai 6mila metri, il sorvolo non è un problema», spiega Moro, facendo un confronto con l'altro tragico e spettacolare salvataggio, sempre sul Nanga, sempre un anno fa, in cui l'elicottero non avrebbe mai potuto raggiungere l'alpinista Tomek Mackiewicz, in fin di vita, ad oltre 7mila metri. Allora i soccorsi arrivarono via terra «solo» per la francese Elizabeth Revol e ad opera di due fuoriclasse come Denis Urubko e Adam Bielecki. «In questo caso credo che i soccorsi opereranno con una long line, calando Sadpara verso la parete, una volta individuati Daniele e Tom». Sempre che i due alpinisti riescano a collaborare. Per Nardi questo è il quarto tentativo sul Nanga, due proprio con Sadpara, compreso quel 2016, quando poi l'alpinista laziale abbandonò il campo base e le due spedizioni del pakistano e di Moro si unirono. Immenso Nanga. Ossessione Nanga.

«Per un alpinista riuscire a scalare lo sperone Mummery, ma anche solo tentarlo è già un'impresa», dice Moro.

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