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Per tenere unito il M5s Di Maio pretende la fiducia sulla sicurezza

Il vicepremier teme lo scrutinio segreto, con la moltiplicazione dei dissidenti. Oggi si decide

Per tenere unito il M5s Di Maio pretende la fiducia sulla sicurezza

D ue piccioni con una fava: mettere all'angolo i cosiddetti «dissidenti» grillini ed evitare sia i voti segreti che le imbarazzanti «contaminazioni» (così le definiscono nel partito della Casaleggio) con i voti di altri partiti extra-maggioranza, come Fratelli d'Italia e Forza Italia.

Per queste ragioni stamattina alle 9.30, nell'aula del Senato, è assai probabile che venga posta la fiducia sul cosiddetto decreto Sicurezza. I Cinque stelle insistono per averlo, sostenendo che l'ipotesi non dispiaccia neppure alla Lega: Matteo Salvini, spiegano, ha urgenza di portare a casa il suo provvedimento bandiera, prima che si apra la sessione di bilancio e il decreto si incagli e rischi di scadere (la data di espirazione è il 3 dicembre). In verità, il problema politico è tutto in casa loro: senza fiducia e a voto segreto, ai quattro senatori che già hanno annunciato il loro no al testo (Nugnes, Fattori, Mantero e Di Falco) se ne potrebbero aggiungere diversi altri: una decina o forse più, calcolano i bene informati. Mentre sul provvedimento arriverebbero in soccorso i voti di Fratelli d'Italia e di Forza Italia: una mazzata politica e di immagine per i grillini, e soprattutto per Di Maio, che teme il dilagare della protesta interna contro la sua leadership, in una maggioranza che va a rimorchio di Salvini e che viene salvata dai voti di Berlusconi e Giorgia Meloni. «Una botta che non possiamo reggere», confidano. E uno scenario da incubo per il vicepremier, che ieri - dalla Cina, dove si è distinto chiamando confidenzialmente «Ping» il presidente Xi Jinping - è rimasto a lungo attaccato al telefono con Roma, nel tentativo di sventarlo e di assicurarsi il voto di fiducia. Che ha i suoi pro, ma anche i suoi contro: ad esempio, regalerebbe a Salvini la vittoria immediata su un «suo» provvedimento-bandiera, e indebolirebbe i Cinque stelle nel braccio di ferro sulla prescrizione, ancora tutto aperto.

La confusione nella maggioranza è apparsa chiara ieri, quando alle cinque di pomeriggio il dibattito in aula sul decreto Sicurezza, appena iniziato, è stato interrotto su richiesta del governo, che ha detto di aver bisogno di un «approfondimento». Lungo il triangolo tra Di Maio (a Pechino), Salvini (in Ghana, inseguito dagli strazianti messaggi Istagram della Isoardi) e Conte (ad Algeri) le linee erano bollenti. Spiega a sera il premier Conte: «Stiamo valutando, ci riserviamo fino all'ultimo una soluzione definitiva. Domani mattina dovremo scioglierla». Nel frattempo, nella notte, si tenta l'ultima mediazione: proporre alcune «piccole modifiche» ai punti più contestati, per far rientrare la fronda grillina. La Lega però storce il naso, e comunque senza fiducia resterebbe in piedi il trabocchetto dei voti segreti: le opposizioni ne hanno chiesti 70, che verranno probabilmente sfoltiti dalla presidenza. Ma ne resterebbero in piedi comunque a sufficienza per far rischiare l'inciampo. Senza contare il regalo avvelenato che potrebbe arrivare da Fi e Fdi, e che restituirebbe l'immagine di un fronte di centrodestra ricostituito, con i Cinque stelle divisi e sbrindellati nel ruolo di portatori d'acqua.

Davanti alla fiducia, invece, i «dissidenti» grillini son pronti a mollare: al massimo, al momento del voto, potrebbero far finta di dover andare alla toilette: «Non posso votare contro un governo che farà cose buone», sospira Elena Fattori. Con l'eccezione del comandante De Falco, che ieri ha risposto a brutto muso alle minacce del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Buffagni, per conto di Di Maio: «Se non voterà il decreto si assumerà le sue responsabilità. Se non si ritrova nella maggioranza sono certo che si dimetterà e tornerà a fare il suo lavoro».

Replica il neo senatore, noto per i modi spicci usati con Schettino: «Buffagni parla con superficialità criminale».

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