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Il teorema Di Matteo: ora i magistrati grillini danno la caccia a Salvini

Il partito dei giudici pronto a schierarsi contro il Carroccio. Come già accaduto con Berlusconi

Il teorema Di Matteo: ora i magistrati grillini danno la caccia a Salvini

Roma - Un M5s infiacchito da dieci mesi di governo senza nessun risultato positivo ha trovato un sussulto che ne giustifichi l'esistenza nel giustizialismo d'annata sul caso Siri. A cementare il rapporto con il «partito dei giudici» è stata l'intervista a Repubblica dal pm della Direzione nazionale antimafia, Nino Di Matteo, il magistrato che ha imbastito il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia.

«I mafiosi capiscono subito su chi poter fare affidamento, la difesa a oltranza di un indagato per contestazioni di un certo peso potrebbe essere, in questo come in altri casi, un segnale che i poteri criminali apprezzano», ha dichiarato Di Matteo sottolineando come il fatto che il sottosegretario Siri abbia già una condanna per bancarotta sia «oggettivamente rilevante» e che «la politica dovrebbe avere un atteggiamento rigoroso al momento della formazione delle liste e degli uffici pubblici, invece, troppo spesso non è così». Poi la sferzata finale. La Lega, ha ricordato, «alle ultime elezioni si è presentato alleato con chi ha continuato a pagare la mafia, ovvero Silvio Berlusconi, come dice l'ampia motivazione della sentenza per la trattativa». Con la chiusa sull'apprezzamento per il dl «spazzacorrotti» varato dal ministro Bonafede il quadro diventa nitido. Il «partito dei giudici», principale sponsor dei Cinque stelle, ha lanciato un avvertimento a Salvini: gli conviene mollare il consigliere sotto indagine altrimenti potrebbe affrontare, in quanto leader del Carroccio, un calvario molto simile a quello patito da Forza Italia e dal suo fondatore.

Non è un caso che le dichiarazioni pentastellate siano tutte ispirate a questa presa di posizione. «Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte deve dare un segnale a tutte le forze politiche e al Paese: Armando Siri, il sottosegretario indagato per corruzione, deve uscire dall'esecutivo», ha intimato ieri il vicecapogruppo M5s al Senato, Primo Di Nicola, rimarcando che «se non lo fa volontariamente, per il rispetto che dovrebbe alle Istituzioni, sia lo stesso Conte a pretenderne le dimissioni». Secondo l'ex firma dell'Espresso, «le dimissioni non dovrebbero essere oggetto di trattativa e il M5s deve continuare a pretenderle».

Anche il ministro delle Infrastrutture Toninelli, che per primo aveva fermato il proprio sottosegretario, ha ribadito come il garantismo non abiti dalle parti di casa Di Maio. «La sospensione delle deleghe non è un atto contro Siri, ma a tutela delle istituzioni e persino a salvaguardia del suo diritto di difesa, dato che l'indagine tocca anche le funzioni da sottosegretario», ha detto auspicando che si difenda «da semplice senatore, è questione di opportunità politica».

Non è un caso che anche le polemiche di Salvini sul «Salva Roma» siano rintuzzate dai grillini con le allusioni giudiziarie.

«La Lega forse non ha capito di cosa si tratta, visto che parliamo della chiusura di un commissariamento a costo zero che permetterà ai romani di non pagare più gli interessi su un debito vecchi di 20 anni che creò proprio il centrodestra con Berlusconi al governo», hanno fatto trapelare fonti M5s invitando a pensare al dossier Siri «e alle indagini sui fondi che riguardano anche il loro tesoriere, invece di fare di tutto per nasconderlo».

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