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Il tetto agli stipendi è un'ipocrisia suicida

Il tetto agli stipendi è un'ipocrisia suicida

Questa storia del tetto agli stipendi pubblici a 240mila euro è una degli errori, più clamorosi, commessi da Matteo Renzi, nel tentativo di rincorrere la demagogia grillina e leghista. E la recente mossa, paraventa, della Rai di escludere i suo «artisti» dalla tagliola lo dimostra plasticamente. Vediamo perché.

La retribuzione di un dirigente pubblico, dal magistrato all'amministratore delegato dell'azienda partecipata dal Tesoro, deve ovviamente essere stabilita dal proprietario. E cioè dallo Stato. Ma come si può immaginare, concettualmente, che il proprietario si ponga un limite per legge, immutabile se non da un'altra legge. Vedete, l'azionista pubblico puó anche decidere di tagliare, ridurre, o più verosimilmente bloccare gli aumenti degli stipendi dei suoi uomini, ma lo deve fare considerando ciò che avviene là fuori. Nel mercato. Per quale motivo un manager stimato dovrebbe essere attratto dall'amministrazione pubblica, se paga notevolmente meno dei privati? Perché un neolaureato di belle speranze dovrebbe optare per questo settore sapendo già che ha un limite al suo guadagno? E perché un ex giovane, magari non di belle speranze, ma che nella pubblica amministrazione ha fatto vedere quanto vale (penso ad alcuni della Agenzie fiscali o del Tesoro) deve resistere alle sirene esterne che lo attirano?

E arriviamo alla Rai. La situazione del mercato televisivo è tale che era del tutto evidente che mettere un tetto agli stipendi delle cosiddette star, le avrebbe spinte a cercare qualcosa fuori. Un capo azienda, in questo caso Mario Orfeo, bene ha fatto a trovare un escamotage per tenersi i suoi. Ma la legge dell'ipocrisia continua a dispiegare i suoi effetti. Perché dirigenti con grandi qualità devono essere vincolati al tetto? Per di più sapendo che i loro vicini di banco ne sono svincolati. Oggi come oggi la cosa forse potrà creare pochi allarmi. In genere i tetti sono raggiunti da manager che hanno una certa età, molta anzianità aziendale, e poca voglia di cambiare vita, sede e forse non hanno neanche un enorme mercato. Discorso che peraltro vale anche per alcune delle star graziate. Ma in prospettiva, quale manager editoriale contemporaneo busserà alla porta di Orfeo per essere assunto dal carrozzone pubblico? Probabilmente solo chi non avrà un grande mercato e si acconteterà del tetto.

Ad onore di verità il libero mercato degli stipendi non è di per se garanzia di selezione di una buona classe dirigente. Come dimostrano le scelte del conte Mascetti, predecessore di Orfeo. Il Conte aveva ottenuto in ereditá 14 dirigenti che superavano i 240mila euro, e in poco tempo, grazie alle sue assunzioni, li ha fatti arrivare a piú di 40: triplicati. I conti della Rai se non ci fosse stato il canone in bolletta avrebbero chiuso in profondo rosso.

La regola del mercato è semplice. L'azionista decide le retribuzioni, gli amministratori si scelgono i collaboratori con un occhio al bilancio, e se si sbaglia si va a casa. Il conte Mascetti ha mollato. I suoi sono tutti là. In questa grande fiera delle ipocrisie è questo lo scandalo. Non pagare bene gli amministratori pubblici, ma il fatto che una volta che si è avuta la matricola dello stato, non la si molla più.

Meglio dirigenti, amministratori, magistrati, che superino i 240mila euro, che una pletora di falliti a 239mila euro, con il loro posticino tenuto al caldo per sempre.

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