Politica

«Theresa non ha un piano B. Solo modifiche»

Il responsabile di Chatham House: «Escluse nuove elezioni o un secondo referendum»

Davide Zamberlan

Londra «Non penso che Theresa May abbia un piano B». È chiaro il pensiero di Thomas Raines, responsabile del programma Europa di Chatham House, tra i più prestigiosi osservatori politici del Regno Unito. Lo incontriamo all'indomani della storica batosta parlamentare con cui i Comuni hanno bocciato la bozza di accordo per uscire dall'Ue. «Credo presenterà una versione rivista del piano. Secondo lei non c'è un altro accordo negoziabile e non credo ci saranno dei sostanziali cambiamenti alla bozza. Da un lato ha preso coscienza di questa catastrofica sconfitta, ma dall'altro le rimane un numero limitato di opzioni. È consapevole che al momento non c'è accordo, ma allo stesso tempo non c'è una maggioranza a favore di nessun'altra alternativa. Credo quindi che May tornerà a Bruxelles per ottenere ulteriori cambiamenti al documento politico (non vincolante) che accompagna l'accordo (vincolante). Cercherà ulteriori rassicurazioni ma credo sia difficile che ottenga qualcosa di sostanzialmente diverso».

Qual è la strategia di Theresa May?

«Credo pensi che il passare del tempo e la mancanza di un accordo su un'alternativa condivisa possa far tornare molti parlamentari ribelli sui loro passi. Non penso le siano rimaste altre opzioni: ha escluso sia un secondo referendum sia nuove elezioni, che non credo possano risolvere l'impasse politico. Punta a riproporre al parlamento lo stesso piano, leggermente modificato ma sostanzialmente così com'è ora».

Non crede l'Ue possa aprire a ulteriori concessioni, far cadere alcune delle linee rosse cui si è attenuta durante le trattative, concedendo ad esempio una backstop temporalmente limitata?

«Non credo. L'Ue si è dimostrata molto determinata e unita durante le negoziazioni e pensa che un no deal sarebbe un risultato di gran lunga peggiore per il Regno Unito che non per l'Europa. Nella sua visione Londra è la parte debole nella trattativa e alla lunga sarà lei a dover cedere. È chiara la ragione che sta dietro alla clausola di backstop, le motivazione economiche ma soprattutto politiche e sociali che ci stanno dietro, tuttavia sarebbe assurdo che una clausola pensata per evitare un confine fisico in Irlanda possa essere alla fine proprio la ragione di un mancato accordo e un ritorno a un confine fisico. Sarebbe un completo fallimento di entrambe le parti».

Il tempo sta scadendo. Crede che il governo chiederà a Bruxelles più tempo?

«Penso che un'eventuale richiesta di estensione dell'articolo 50 avverrà solo alla fine. May necessita della pressione del tempo che scorre per cercare di fare passare l'accordo. E a sua volta l'Ue è sì favorevole a concedere più tempo, ma non certo come incentivo ai parlamentari inglesi a continuare a ignorare la bozza. Attenzione, però al no deal: è una prospettiva evitabile, c'è un forte consenso in parlamento in tal senso. Ma credo anche ci sia la tendenza a considerare la soluzione che riteniamo peggiore come improbabile solo perché non ci piace. Esiste ancora un rischio di no deal».

Ritiene invece che sia possibile che la Brexit venga fermata?

«Non penso ci possa essere una revoca unilaterale dell'articolo 50 senza un processo democratico che dia al governo un mandato politico, siano nuove elezioni o referendum. Le prime sono un non senso per i conservatori, che si ricompattano di fronte a Corbyn. E credo sia da escludere pure un secondo referendum: al di là delle problematiche tecniche, May sembra avere la convinzione che la politica abbia la responsabilità di realizzare quanto emerso nel primo.

Una contratto fiduciario tra governo, parlamento e chi ha votato».

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