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Torna in libertà Galan, l'ex ministro detenuto che ha pagato tutto

Ha scontato la pena di 2 anni e 10 mesi per il Mose. Fino all'ultimo il braccio di ferro con i magistrati

Torna in libertà Galan, l'ex ministro detenuto che ha pagato tutto

L'ultimo no alla richiesta di sconto di pena era arrivato poco prima di Natale, il 19 dicembre. Ed era stato, a pochi dalla scadenza naturale della condanna, l'ennesimo diniego alla liberazione anticipata. Ieri Giancarlo Galan è tornato a essere un uomo libero dopo aver scontato, prima in carcere e poi agli arresti domiciliari, tutti gli 899 giorni rimediati per corruzione nella maxi-inchiesta sulle tangenti del Mose. E attraverso i cronisti ha voluto dire «ai veneti»: «In 15 anni di presidenza del sottoscritto, non c'è mai stato un atto, una delibera, una dichiarazione, un'azione fatta in cambio di qualcosa».

Uno sfogo che sa di ricerca di una riabilitazione morale dopo lo scandalo emerso con la retata del 4 giugno 2014 - 35 arresti e oltre cento indagati - con cui la politica regionale veneta sprofondò sulle dighe mobili di Venezia portando l'azzurro, che ne era esponente di spicco, a finire sulle prime pagine dei giornali con il peggior peccato, la macchia delle tangenti.

E certo il patteggiamento concordato dopo 78 giorni di carcere a due anni e dieci mesi per corruzione non ha mai sopito il braccio di ferro con la Procura e i magistrati del tribunale di Sorveglianza, durato fino agli ultimi sgoccioli della reclusione prevista dalla condanna.

Quasi tre anni di ping pong giudiziario tra richieste di scarcerazione, sconti di pena negati e ricorsi mai accolti, che raccontano l'improvvisa caduta, dopo l'ascesa, di un ex ministro del quarto governo Berlusconi, ex deputato di Forza Italia e governatore del Veneto dal 1995 al 2010.

Una parentesi di rabbia e disperazione, accompagnata dalla convinzione, spesso confidata da Galan ai familiari, di sentirsi perseguitato e vittima di un'ingiustizia. Raggiunto, a giugno scorso, da un picco di rassegnazione nel vedere il suo ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, tornare libero quattro mesi prima di lui, mentre le istanze dei suoi legali Antonio Franchin e Niccolò Ghedini di libertà anticipata e affidamento in prova venivano costantemente rigettate.

Sono state le perizie mediche che certificavano uno stato di salute «non incompatibile con il carcere» ma quasi, a strapparlo dalla cella di Opera, dove era finito a luglio 2014 dopo il via libera all'arresto da parte della Camera. E dove la Procura voleva che ritornasse. Era stato il gip allora a optare invece per una prosecuzione degli arresti domiciliari, nonostante i pm chiedessero la cella per un atteggiamento con la magistratura considerato fin dall'inizio sconveniente, costellato di dichiarazioni sopra le righe a tv e stampa.

Un muro contro muro contro cui si sono infrante via via le richieste di affidamento in prova e di sconto di pena per «buona condotta». E innalzato soprattutto dopo la storiaccia di Villa Rodella, la dimora gioiello dell'architettura veneta che l'ex governatore aveva offerto come risarcimento di 2,6 milioni di euro allo Stato, (salvo poi emergere che sull'immobile gravava un'ipoteca di Veneto Banca da 1,7 milioni di euro). I danni provocati da Galan e moglie durante il trasloco a ottobre 2015, quando portarono via dalla lussuosa casa termosifoni e sanitari, gli sarebbero costati la reputazione di detenuto irreprensibile. Un pasticcio. Che non si è risolto nemmeno dopo che l'ex presidente, con tante scuse per la figuraccia, ha provveduto a ripristinare tutto ottenendo l'archiviazione dell'inchiesta per danneggiamenti. Per i magistrati era solo un atto dovuto. Di nuovo, niente libertà anticipata.

Ieri la clessidra ha decretato la fine della pena.

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