Sisma in Nepal

Tragedia senza fine in Nepal: dispersi quattro italiani

Rintracciati 300 connazionali incolumi, ma non si ha notizia di un pool di ricercatori, tra cui Piazza, colonna del nostro alpinismo

Tragedia senza fine in Nepal: dispersi quattro italiani

C'è un pezzo d'Italia nel Nepal. Frammenti di vite scampate per miracolo al disastro generato dalla natura. Semplici turisti, alpinisti di professione, speleologi, ma anche persone alla ricerca di una rinnovata spiritualità nei sacri templi dell'induismo. Il terremoto di sabato mattina ha creato il caos, scuotendo anche le fondamenta dei sentimenti, soprattutto di parenti aggrappati a un telefono, in attesa di uno squillo. Come quello arrivato nel pomeriggio a Firenze in casa della famiglia Lituani. Mamma Dafi ha sentito la voce di suo figlio Daniel: «Io ed Elia stiamo bene. Non preoccupatevi». Poche parole, ma lacrime di gioia per lei e per papà Marco. Da trenta ore non si avevano notizie dei due fratelli in viaggio nel Nepal da dieci giorni. Si temeva il peggio, anche se la signora Dafi ripete, «ero fiduciosa, me lo sentivo che stavano bene». La Farnesina ha rintracciato 300 connazionali incolumi, invierà personale di Protezione civile, ma non ha notizie di quattro speleologi. Giuseppe Antonini, 53 anni, è di Ancona, così come Gigliola Mancinelli, 50enne medico cardiologo. Assieme a loro c'era anche Oskar Piazza, del Soccorso alpino del Trentino Alto Adige, e il 52enne ligure Giovanni Pizzorni. Antonini aveva parlato con la compagna per rassicurarla dopo la prima terrificante scossa. «È stato un inferno, ma adesso va tutto bene». Poi il black out totale. Pizzorni invece aveva telefonato poco prima delle due scosse. Lo rivela l'amico Luca Dallari: «Era insieme agli altri e ha spiegato che quel giorno a causa del maltempo avevano deciso di rinviare l'escursione. Siamo in attesa di sapere qualcosa ma ci rendiamo conto che le comunicazioni sono molto difficili». Nel 2007, Piazza, colonna dell'alpinismo italiano, era stato tra i soccorritori proprio in Nepal di Tomasz Humar, considerato uno dei più forti alpinisti del mondo, morto dopo essere precipitato dalla parete del Langtang Lirung. Fulvia Clerici, 26enne di Varese, porta nello sguardo i segni di una paura che non si sopisce. In Nepal coordina l'Ong «Amici dei Bambini». In un primo momento sabato mattina ha pensato a un bombardamento. «Questa è una zona sismica, ma non avevo mai sentito un terremoto così forte. Per fortuna tutto il nostro personale sta bene, adesso pensiamo ai bambini. Qui manca tutto, soprattutto i beni di prima necessità».

Il Nepal è in ginocchio, devastato da un terremoto che non sembra avere alcuna intenzione di placarsi e da una pioggia battente che rende problematici i soccorsi. Le scosse si susseguono a ritmo incalzante, e definire «di assestamento» uno sciame sismico che ancora ieri ha toccato picchi di magnitudo 6.7 della scala Richter è offensivo per le migliaia di persone che vivono nel terrore. Chi è scampato alla furia del sisma ha trascorso queste due notti in strada, nelle auto, dormendo in aree attrezzate per l'occorrenza con sacchi a pelo messi a disposizioni dai volontari che lavorano senza pause. Il bilancio delle vittime accertate sale drasticamente: secondo i dati forniti dal ministero della Salute i morti sono 2.430, i feriti più di 6mila e almeno altrettanti i dispersi. L'aeroporto internazionale Tribhuvan di Kathmandu è stato nuovamente aperto ai voli internazionali che trasportano aiuti provenienti ormai da ogni parte del mondo. L'allarme lanciato dall'Onu ha i contorni di uno scenario apocalittico. Le persone colpite dal sisma sarebbero quasi 7 milioni. Parole terribili arrivano anche dai rappresentanti dell'Unicef. In una nota stampa fanno sapere che «la situazione è complessa nelle zone rurali e nei villaggi, dove regna la distruzione ed è arduo arrivare. I bambini messi in salvo sono oltre un milione, intrappolati al freddo e al gelo. Siamo di fronte a una catastrofe umanitaria». Le nuove e violente scosse hanno anche provocato una nuova valanga sul campo base dell'Everest nel corso della mattinata di domenica. Gli elicotteri dell'esercito nepalese hanno evacuato un centinaio di persone, ma ci sono 22 morti e almeno 218 dispersi. Tra i morti il manager di Google Dan Fredinburg. Si trovava in Nepal per migliorare l'applicazione Street View , creando una nuova panoramica proprio dell'Everest.

Un altro dramma lo si sta vivendo negli ospedali. Non mancano medicine e attrezzature, ma è l'emergenza sangue a preoccupare il personale sanitario. «Invitiamo tutti quelli che se la sentono di recarsi qui da noi - spiega il dottor Jha Raghbendera, della Balaju Swasthya Clinic - mi rendo conto che è difficile comunicare, così come spostarsi per le strade di Kathmandu, ma stiamo perdendo vite per carenza di sangue.

È uno strazio, almeno quanto la furia del terremoto».

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