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Le trame rosse di Di Maio per fare il governo col Pd: "Basta farci la guerra"

Il leader M5s pronto a qualsiasi alleanza E la Casaleggio avvisa: canali già avviati

Le trame rosse di Di Maio per fare il governo col Pd: "Basta farci la guerra"

Franza o Spagna, purché se magna. Fedele all'antico adagio italico, l'aspirante premier grillino Di Maio fa sapere di essere «pronto» a qualsiasi alleanza per andare poggiare le terga sull'ambita poltrona di Palazzo Chigi: «Il contratto di governo può essere sottoscritto dal M5s o con la Lega o con il Pd. Noi siamo pronti ma vediamo che ci sono anche delle evoluzioni negli altri schieramenti».

Le «evoluzioni» per ora lo hanno messo in uno scomodo angolo: Salvini ha annunciato che il centrodestra resta unito e che lui salirà al Colle con Berlusconi, in barba alle preclusioni dei Cinque Stelle, e il reggente Pd Martina aveva fatto sapere di considerare «impossibile» il dialogo alle condizioni di Di Maio. Così ieri il capo-partito nominato dalla Casaleggio, in affanno per mancanza di tavoli su cui giocare la sua partita della vita, ha provato a sparigliare lanciando un accorato e affettuoso appello al sin qui vituperato Pd dalle colonne di Repubblica: «Seppelliamo l'ascia di guerra e mettiamo al centro le risposte più urgenti alle grandi emergenze del Paese». E giù un elenco, che più vago non si può: «Lotta alla povertà e alla corruzione, lavoro e pensioni, fisco più leggero», manca solo la fame nel mondo sempre evocata dalle candidate a Miss Italia. Nel frattempo, l'ufficio comunicazione della Casaleggio si dà un gran daffare per far sapere che con il Pd ci sono «contatti già avviati» e «canali aperti»: con Martina, con i capigruppo, con alcuni ministri, financo con Gentiloni che - insinuano le veline di Di Maio - potrebbe essere il pezzo da novanta in grado di sbloccare il dialogo tra M5s e dem. Peccato che da Palazzo Chigi smentiscano felpatamente ma con fermezza: il premier ha parlato con Di Maio «due o tre volte» in queste settimane, e «solo per informarlo, in segno di garbo istituzionale, di decisioni prese dal governo»: la questione delle spie russe da cacciare, l'operazione Cdp e «da ultimo la scelta di rinviare di un paio di settimane il Def».

L'unica sponda alla mossa grillina ieri l'ha offerta Dario Franceschini, con un tweet in cui dice di apprezzare la «novità politica» delle parole di Di Maio e invita il Pd a «riflettere e restare unito nella risposta». Nelle file dem scoppia il bailamme: sui social, iscritti e simpatizzanti inveiscono contro le aperture franceschiniane, promettendo di stracciare la tessera in caso di dialogo coi grillini.

Il presidente Pd Orfini chiude la porta: «Siamo alternativi al M5s per cultura politica, programmi e visione sul futuro del paese. Non sarà certo un appello strumentale a cancellare tutto questo. Parleremo con chi avrà l'incarico», e non con un Di Maio in cerca di autopromozione. Sulla stessa linea il capogruppo Marcucci, mentre il mediatore Guerini invita a non accapigliarsi sui social e il reggente Martina si barcamena per non scontentare nessuno: «Non vedo novità, basta ambiguità».

Quanto a Renzi, appena sveglio l'ex premier aveva fatto smentire seccamente un retroscena di Repubblica che gli attribuiva un «cambio di linea» e l'intenzione di andare a vedere le carte grilline: «Ma quale svolta, Repubblica confonde i suoi desideri con la realtà», spiegano i suoi. «Saremmo davvero ingenui a stare al gioco di Di Maio», fa notare lui. A sera, il povero Di Maio comincia ad intuire la trappola in cui si è cacciato: nel Pd, come spiega un alto dirigente, «nessuno si sogna di fare un governo con lui, che non avrebbe neppure i numeri.

Ma tutti lo utilizzano per posizionarsi pro o contro Renzi».

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