Politica

Trascinata in Pakistan scrive alla scuola: «Aiutatemi a tornare»

Il padre le fa lasciare lo studio per obbligarla alle nozze combinate: «Non ho più niente»

Alberto Giannoni

Milano Ritirata da scuola, segregata e portata a forza in Pakistan, per concludere un matrimonio combinato suo malgrado. Una giovane pachistana residente a Bovisio Masciago (Brianza) è la nuova vittima della legge tribale che sottomette le donne alle logiche dei clan familiari e le assoggetta ai retaggi patriarcali, a obblighi pseudoreligiosi e disumani. Hina, Sana, Jamila, la storia recente dell'Italia è costellata dei loro nomi, nomi di ragazze sfregiate per il desiderio di vivere all'«occidentale». Avevano una sola colpa: volevano scegliere il proprio destino, esattamente come fanno le coetanee europee e italiane.

La 23enne di Monza era in quarta superiore e secondo quanto ricostruito sarebbe stata costretta dai genitori a lasciare gli studi, a restare reclusa in casa e a partire per il Paese d'origine. Il tutto per sposare un uomo scelto dalla sua famiglia. Privata del permesso di soggiorno e del passaporto, abbandonata in Pakistan, la ormai ex studentessa ha vissuto per un anno in condizione di soggezione, e da quella «prigione» ha inviato una lettera alla sua ex scuola per chiedere aiuto, manifestando il suo desiderio di tornare in Italia. Ricevuto il messaggio, la scuola (di Cesano Maderno) si è attivata denunciando l'accaduto alle forze dell'ordine e investendo della questione - attraverso la prefettura - il ministero degli Esteri. «Vi prego aiutatemi - avrebbe scritto - mi hanno preso tutti i documenti e mi hanno lasciata qui». La risposta della Farnesina non si è fatta attendere. Il ministro Enzo Moavero Milanesi «segue da vicino» il caso e sta studiando le modalità più appropriate per possibili interventi. Sarebbe già stata attivata anche l'Interpol.

La vicenda è subito diventata un caso politico, sul quale sono intervenuti il vicepresidente della commissione Esteri della Camera Paolo Grimoldi, e l'assessore regionale alla Sicurezza Riccardo De Corato. «Il ministro degli Esteri - ha detto il leghista Grimoldi - faccia luce sul caso della ragazza pachistana di Monza». «Chiedo al nostro ministero degli Esteri di attivare immediatamente le sue strutture per fare luce sul caso». «Se questa notizia è confermata - ha aggiunto - se davvero la ragazza vuole tornare in Italia ma è trattenuta in ostaggio contro la sua volontà, chiediamo alla Farnesina di attivarsi immediatamente con le autorità del Pakistan per favorire il suo ritorno in Italia, ovviamente lontano da questa famiglia». Per Grimoldi, il caso confermerebbe «che un certo islam radicale, quello più oltranzista, in Italia non ha fatto progressi, che non è diventato più moderato e conciliante ma è rimasto su posizioni estreme che non si possono conciliare con il nostro modo di vivere e rendono impossibile un'integrazione, da parte di certi islamici, che non diventi sottomissioni da parte nostra».

Sono passati 12 anni da quando una ventenne pakistana, Hina Saleem, è stata uccisa dal padre per il desiderio di vivere all'occidentale. Dodici anni dopo, stessa città e stesso delirante movente nell'uccisione di Sana Cheema, un'altra pakistana, ancora a Brescia. Fra Hina e Sana un calvario di storie più o meno grandi di violenza, con un filo conduttore: donne punite per essersi ribellate.

«Di fronte a questi comportamenti che stonano profondamente con la nostra cultura e la nostra società democratica - commenta De Corato - è evidente che non è possibile convivere con persone che considerano le donne di loro proprietà e oggetti».

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