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La trattativa riprende ma l'Ue non si fida delle promesse greche

Il pressing Usa: il debito di Atene va ristrutturato. Schaeuble e il capo del Fondo salva Stati (tedesco anche lui) non mollano

La trattativa riprende ma l'Ue non si fida delle promesse greche

Soltanto oggi (forse) si conosceranno le riforme fiscali e delle pensioni che la Grecia ha offerto al Fondo salva Stati europeo, in cambio di un prestito che Atene spera ammonti a 7 miliardi e che promette di rimborsare in tre anni. Alexis Tsipras garantisce al Parlamento europeo che abolirà le pensioni baby. Ma non dice quando. E non è un particolare di poco conto.

Anche la Commissione europea ha chiesto (con le proposte Juncker) una riforma delle pensioni alla Grecia, sulla fattispecie di quella della Fornero (ma molto più morbida: l'allungamento a 67 anni sarebbe scattata - era previsto - nel 2022). E la chiedeva con decorrenza da questo mese. Nelle sue controproposte (prima del referendum), Tsipras ha risposto che può prendere in considerazione un allungamento della vita lavorativa dei greci. Ma con decorrenza dal 2019.

Chi dovrà valutare il prestito alla Grecia, poi, è Klaus Regling, tedesco di Lubecca: oggi al vertice del Fondo salva Stati (Esm). Che senz'altro non avrà gradito le parole di Tsipras all'Europarlamento. «Il massimo momento di solidarietà europea è stato nel 1953, quando alla Germania venne tagliato il debito del 60%». Regling è stato a lungo direttore generale della Commissione Affari economici: un vero «mastino» dell'ortodossia finanziaria europea. Al punto che, nel novembre 2003, quando l'Italia salvò la Germania dall'onta di dover pagare le sanzioni per il proprio deficit eccessivo, Regling era contrario: così come lo era il presidente della Commissione dell'epoca, Romano Prodi; ed il rappresentante italiano di quella Commissione, Mario Monti. E Regling non è quel tipo di persone che, invecchiando, migliora di carattere. Sarà lui a decidere l'ammontare complessivo del prestito chiesto dal governo greco. Soprattutto, dopo aver verificato la veridicità degli impegni ellenici.

Da questo punto di vista, Atene non ha un buon curriculum. Tant'è che Wolfang Schaeuble, ministro delle Finanze tedesco, sottolinea che «non basta una lettera con la richiesta di accedere al programma dell'Esm, serve una rappresentazione integrale delle riforme». Insomma, non si fida degli impegni di Atene. Nemmeno di quelli scritti. Nella lettera inviata dal governo Tsipras al Fondo salva Stati c'è scritto: «Noi reiteriamo l'impegno della Grecia a rimanere membro dell'Eurozona ed a rispettarne le regole e gli impegni di ogni Stato membro».

Anche Manuel Valls, primo ministro francese, ribadisce che «la Grecia è un Paese dell'Eurozona e tale deve restare. È una priorità geopolitica». Come se qualcuno pensasse ad un'uscita della Grecia dalla zona della moneta unica, pur rimanendo nell'Unione europea: ipotesi filtrata l'altro giorno al termine dell'Eurogruppo.

E proprio sul ruolo internazionale della Grecia interviene Doland Tusk, presidente del Consiglio europeo. «Bisogna cercare aiuto tra gli amici, non tra i nemici: soprattutto se questi non ti possono aiutare». Un riferimento nemmeno troppo velato ai contatti che Tsipras ha avviato con Putin. E, visto che Tusk è polacco, individua la Russia ancora come «un nemico».

Gli Stati Uniti seguono con attenzione quel che avviene sulla rotta Bruxelles-Atene. Alla Fed c'è grande preoccupazione: «Gli Usa sono a rischio contagio». E il segretario Usa al Tesoro, Jack Law, non usa mezzi termini: «Il debito greco non è sostenibile». Come a dire: serve la ristrutturazione, che è la stessa posizione di Christine Lagarde del Fmi. Non a caso, i 7 miliardi chiesti all'Esm servirebbero alla Grecia per tornare in bonis con il Fondo monetario (non ha pagato la rata di 1,6 miliardi, scaduta il 30 giugno) e con la Bce. Ed a quel punto, chiedere un nuovo prestito da 30 miliardi alle istituzioni finanziarie internazionali.

«Finora, però, i finanziamenti internazionali concessi alla Grecia non sono andati al popolo greco, ma alle banche europee», ricorda - a ragione - Tsipras.

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