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Tria resiste su banche e Def: Lega e 5 stelle lo attaccano ma non possono mandarlo via

I vicepremier irritati non hanno un sostituto. E il ministro tira dritto con l'operazione verità sui conti

Tria resiste su banche e Def: Lega e 5 stelle lo attaccano ma non possono mandarlo via

Roma - Più il governo si indebolisce e più lui si rafforza. È il paradosso di Tria, apparente vaso di coccio sballottato tra gli screanzati vasi di ferro (per di più digiuni di ogni cognizione economica) dei suoi «superiori» politici nel governo. Un paradosso di cui il ministro dell'Economia è ben conscio. Tant'è che non solo - a differenza di quanto fece sulla manovra - stavolta continua a resistere alle forsennate pressioni elettoralistiche di premier e vicepremier sul caso dei rimborsi agli azionisti delle banche fallite, ma fa anche trapelare che con il Def, atteso a giorni, vuol fare una «operazione verità» sui conti. E, di conseguenza, sui fallimenti del governo grilloleghista: la crescita 2019 prevista all'1% precipita allo 0,1%, che verrà corretto allo 0,2% nel Def attribuendo un piccolo effetto positivo al decreto Crescita (che ripristina una serie di misure pro-imprese dei governi Pd che erano state cancellate dall'attuale) e al mitologico decreto Sblocca-cantieri, di cui però nel mondo reale non vi è ancora traccia.

Sempre secondo le anticipazioni che trapelano, il Def farebbe chiarezza anche sulle cause del disastro: certo, c'è il rallentamento mondiale di cui si fa alibi Conte, ma ci sono soprattutto le colpe domestiche, che il governo dovrebbe prendersi: l'impennata dello spread, ma anche «l'effetto negativo» causato da Quota 100, la mini-controriforma delle pensioni che secondo la Lega doveva avere effetti mirabolanti sull'economia. Invece, come spiegano anche gli imprenditori che ne chiedono il ritiro, è un disastro. Le promesse fatte (dallo stesso Tria) alla Ue non saranno mantenute: il rapporto deficit-Pil schizza dal 2% cui ci eravamo impegnati al 2,4%. E quindi la «manovra bis» per correggere i conti, smentita a parole, ci sarà nei fatti con lo scatto dei tagli lineari per 2 miliardi previsti dalle clausole della manovra.

Se Tria terrà fede a quanto anticipato, si comprende il crescente nervosismo di Lega e Cinque Stelle, che provano a spintonare il ministro perché, come gli ha ricordato, Conte, «ci sono le elezioni». Così Salvini invita il ministro ad essere «più coraggioso» e il leghista Siri chiede che nel Def ci sia la flat tax. La risposta, per ora, è «niet»: non c'è un euro di copertura, se Salvini sa dove trovarli lo scriverà nella manovra di fine anno. Di Maio manda Paragone a dire che Tria «impedisce il cambiamento», ma poi gli tocca ammettere che il ministro non si tocca.

Intanto contro Tria continua il dossieraggio da Stasi dei poveri, il cui tramite sono alcuni media fiancheggiatori del governo ma i cui mandanti - come Tria sa benissimo - sono dentro l'esecutivo: «Chissà chi è che passa quella spazzatura contro di me ai giornalisti...». Ma sa bene che né Conte, né Salvini e Di Maio sono in grado di liberarsi di lui. Non solo perché non hanno il potere costituzionale di «licenziare» un ministro; non solo perché, come avverte lui, «se andassi via quale sarebbe la reazione dei mercati?», facendo baluginare l'ingovernabile sconquasso che si scatenerebbe.

Ma anche perché nessuno di loro sa con chi sostituirlo, né vuol mettere la faccia del proprio partito sul ministero che dovrà affrontare la prossima manovra.

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