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Tria vede tutto facile sull'accordo con Bruxelles. Ma sulla flat tax è braccio di ferro con la Lega

Il ministro dell'Economia: obiettivo deficit al 2,1%. Le divergenze sulle tasse da ridurre

Tria vede tutto facile sull'accordo con Bruxelles. Ma sulla flat tax è braccio di ferro con la Lega

«Non vedo ostacoli per un accordo». Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, ieri si è nuovamente dichiarato fiducioso sulla possibilità di evitare la procedura di infrazione presentando un assestamento di bilancio rassicurante per i tecnici della Commissione. «Per un'economia a crescita zero il target di deficit al 2,1% per l'anno in corso rappresenta una politica fiscale più che prudente e stiamo andando verso questo livello grazie a una gestione delle finanze pubbliche prudente anche se noi stiamo attuando le politiche sociali programmate con l'ultima legge di Bilancio».

Per il futuro, ha proseguito, l'idea «è tenere il deficit basso e continuare con l'obiettivo di diminuzione del debito non attraverso l'innalzamento delle tasse ma attraverso più basse spese correnti: questo è il nostro impegno verso il Parlamento e stiamo lavorando per soddisfare questo mandato con la prossima legge di Bilancio». Sulla base di queste premesse, secondo Tria, l'Italia può puntare a «una buona soluzione sulla procedura». In buona sostanza, ciò che il governo proverà a spiegare ai commissari Dombrovskis e Moscovici è che a fine anno le risorse non utilizzate per le due misure di spesa potrebbero attestarsi a 3 miliardi, mentre altri 2 miliardi arriveranno dai tagli automatici ai ministeri. A questi si aggiungeranno, sul versante delle entrate, il maggior gettito derivante dall'estensione della fattura elettronica, i dividendi extra delle partecipate dello Stato e persino il patteggiamento da 1,2 miliardi tra il gruppo del lusso Kering (titolare dei marchi Gucci e Bottega Veneta) e l'Agenzia delle Entrate. La somma di circa 7-8 miliardi farebbe sì che, a fronte di un Pil pressoché invariato, il deficit possa scendere attorno al 2-2,1% del prodotto interno lordo rispetto al 2,4% verso cui stava puntando.

I problemi sono due: uno di natura tecnica e l'altro tutto politico. Il primo afferisce alla difficoltà di convincere l'Ue della veridicità di queste stime e, soprattutto, della effettiva capacità di mettere nero su bianco i 23,1 miliardi delle clausole di salvaguardia che potrebbero scattare nel 2020. Il secondo, invece, è relativo all'impostazione dettata dal titolare del Tesoro che è diametralmente opposta a quella del vicepremier Matteo Salvini. «Tra le richieste di impegno possibili manca solo la genuflessione costante...», ha sentenziato ieri il Capitano durante una conferenza stampa al Viminale rimarcando che «i numeri parlano chiaro: la nostra economia è sana e vuole crescere». L'impegno per la riduzione del deficit non gli piace. «Non siamo più nel Medioevo - aggiunge - siamo il terzo contributore dell'Ue, facciamo parte di un club al quale versiamo diversi miliardi l'anno ma che poi ci chiede atti di sottomissione».

La parte più difficile è conciliare questi obiettivi con i propositi di abbassamento della pressione fiscale. «Fa parte dei nostri obiettivi», ha ribadito ieri Tria puntualizzando, però, che il mandato principale è quello di evitare l'aumento delle aliquote Iva attraverso misure alternative. «Salvini, invece, ha ripetuto che «non prenderemo i fondi per la flat tax dal Reddito di cittadinanza». D'altronde, non si potrebbe neanche farlo visto che sono vincolati. Ma i 15 miliardi di costo minimo della tassa piatta sembrano difficilmente reperibili vista l'urgenza di stanziare i 23,1 miliardi delle clausole. Senza contare che l'Italia ha promesso per il 2019 introiti da privatizzazioni per 18 miliardi in funzione taglia-debito.

Tra Tria e Salvini uno dovrà cedere.

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