Cronache

Un tribunale dice no al bimbo di due mamme. La Cirinnà alla Consulta

Il caso alla Corte Costituzionale: impossibile avere sui documenti genitori dello stesso sesso

Un tribunale dice no al bimbo di due mamme. La Cirinnà alla Consulta

Hanno sperato, aspettato e infine brindato quando è nato un maschietto. Ma ora si trovano in difficoltà, perché il Comune di Venezia non vuole riconoscere che il piccolo sia figlio di due donne. Anzi non può.

La legge Cirinnà, infatti, discrimina i genitori gay. Il caso, riportato dal Corriere del Veneto, ruota attorno a una questione che i giudici del Tribunale di Venezia sono stati costretti a sottoporre a loro volta alla Corte Costituzionale. Le due donne sono unite civilmente e due anni fa una di loro si è sottoposta a fecondazione assistita con donatore anonimo in Danimarca.

A novembre 2017, dopo una spasmodica attesa, a Mestre è nato un maschietto, con infinita gioia anche dei parenti della coppia. Ma il Comune di Venezia, nell'atto di nascita ha scritto che il bambino «nato dall'unione naturale con un uomo, non è parente né affine» della partoriente e quindi non ha indicato la sua compagna come altro genitore.

Così le due sono state costrette ad affidarsi agli avvocati, che a loro volta hanno presentato al tribunale di Venezia formale richiesta affinché venisse corretto l'atto di nascita e su di esso entrambe le veneziane figurassero come genitori del bambino. Ma il giudice non è potuto intervenire in tal senso e ha spiegato che la legge Cirinnà contiene appunto disposizioni incostituzionali e discriminerebbe le coppie gay. Il caso è stato quindo girato alla Consulta, che sarà chiamata ad esprimersi nel merito.

Il Tribunale nell'ordinanza spiega che il decreto sulle unioni civili, non andando a disciplinare il contenuto dell'atto di nascita, «non realizza il diritto fondamentale di genitorialità dell'individuo» previsto dall'articolo 2 della Costituzione, diritto «inteso come aspirazione giuridicamente qualificata a mettere al mondo e crescere dei figli, avendo costituito un legame di coppia formalizzato», così come la legge Cirinnà «formalizza» le unioni civili tra coppie dello stesso sesso.

I giudici evidenziano che il matrimonio non costituisce più il discrimine nei rapporti tra genitori e figli i quali devono godere della medesima tutela indipendentemente dalla forma del legame tra coloro che ne assumono la genitorialità. «L'acquisto dello status di figlio di entrambe le parti dell'unione civile - sottolineano i giudici - va dunque riguardato come ineludibile presupposto per l'accesso del minore alla massima tutela che gli spetta». Di fatto, impedendo per le coppie omosessuali che entrambi i genitori vengano indicati nell'atto di nascita, la legge «pregiudica i diritti inviolabili della persona, quali quello alla genitorialità e alla procreazione, discrimina i cittadini per il loro orientamento sessuale e in considerazione delle condizioni patrimoniali della coppia».

La palla ora passa alla Corte Costituzionale. «È la prima volta che il dubbio di incostituzionalità coinvolge la legge Cirinnà in relazione alla genitorialità omosessuale - spiega la presidente di Rete Lendford, Miryam Camilleri - Per i giudici la legge pregiudica i diritti inviolabili della persona, quali quello alla genitorialità e alla procreazione, discrimina i cittadini per il loro orientamento sessuale e in considerazione delle condizioni patrimoniali della coppia».

«Il concetto di filiazione è ormai disancorato dal rapporto legale esistente tra genitori e prescinde dalla composizione eterosessuale o omosessuale della coppia», sottolineano gli avvocati della coppia, che sperano in un pronunciamento a favore delle loro assistite.

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