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Il trionfo di Marino: "Il Pd mi ha tradito si guardi allo specchio"

L'ex sindaco prosciolto da tutto attacca pure il premier: "Così hanno leso la democrazia"

Il trionfo di Marino: "Il Pd mi ha tradito si guardi allo specchio"

Roma - «Forse qualcuno deve guardarsi allo specchio, pensare se ce l'ha veramente, la statura da statista... Farsi l'esame di coscienza e riflettere». Dopo essere stato infiacchito, deriso, demolito dai suoi compagni di partito, a cominciare dal leader Renzi, l'ex sindaco di Roma Ignazio Marino s'è preso la sua grande rivincita con un'assoluzione piena. E a poco vale, ora, il ritornello dei tanti renziani che l'avevano tormentato («Incapace mica ladro, lo sapevamo») per quasi un anno. Ignazio il «marziano» medita vendetta: non ha ancora deciso il come e il quando. Vuole riflettere. Si accontenta del trionfo giudiziario e della fine, con tanta commozione, dell'anno da incubo cominciato da quando, nell'ottobre 2015, aveva prima deciso di lasciare la poltrona in Campidoglio, per poi resistere allo spasimo e cedere infine solo davanti alle dimissioni in blocco dei 26 consiglieri Pd che sostenevano la giunta.

Succeduto ad Alemanno, Marino non era caduto sotto i colpi di Mafia Capitale, anzi aveva rafforzato la propria credibilità puntando a rappresentare il «suo» Campidoglio come «casa di vetro», in contrapposizione con il malaffare che imperava tutt'intorno. Ma a tradirne l'immagine sono state una serie di clamorose gaffe, come quella di aver rifiutato a lungo spiegazioni sulla Panda rossa, di proprietà della moglie, che risultava spesso parcheggiata in divieto di sosta o circolante nella Ztl senza permesso. Ma a minare davvero la carriera del sindaco è stata invece l'inchiesta sulle 56 cene «di rappresentanza» pagate con la carta di credito in dotazione come primo cittadino tra il luglio del 2013 e il giugno del 2015. Avvenute, secondo i Pm, «generalmente in giorni festivi e prefestivi, con commensali di sua elezione». Ieri però sono bastati solo 15 minuti al gup Pierluigi Balestrieri per emettere sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste. Caduta anche l'accusa di falso e truffa per una vicenda legata alla onlus «Imagine», fondata nel 2005 per portare aiuti sanitari in Honduras e in Congo. Secondo i Pm, Roberto Felici e Pantaleo Polifemo, che chiedevano 3 anni e 4 mesi, Marino avrebbe predisposto la certificazione di compensi riferiti alle prestazioni fornite da collaboratori fittizi o soggetti inesistenti, inducendo in errore l'amministrazione finanziaria e l'Inps. Ma il giudice, che ieri ha rinviato a giudizio tre funzionari della Onlus, Rosa Garofalo, Carlo Pignatelli e Federico Serra, ha chiarito che l'ex sindaco, invece, non ha commesso alcun reato. Due decisioni arrivate con rito abbreviato, come chiesto da Marino, che riabilitano il «marziano» sul palcoscenico politico. Visibilmente commosso, zaino in spalla come di consueto, a voce bassa il chirurgo ha commentato: «Sapevo di essere innocente. La verità è stata ristabilita». Poi, dopo aver ringraziato pubblicamente i suoi avvocati Enzo Musco, Franco Moretti e Alessandra Martuscelli, si è lasciato andare a un altro commento amaro: «Adesso ci sarà la necessità di interrogarsi sulle responsabilità che alcuni politici hanno avuto in questa vicenda...».

Marino avverte che tornerà in prima linea perché ha «il dovere morale» di continuare a impegnarsi per il Paese. Ricorda: «Le mie dimissioni sono avvenute sotto pressioni politiche e mediatiche gravissime. Un anno fa la democrazia è stata lesa e i romani violentati da un piccolo gruppo della classe dirigente che si è rifugiato nello studio di un notaio invece di venire in aula». L'ultimo fendente è per Matteo Orfini, commissario del Pd romano, che in un tweet s'è giustificato: «Chiedemmo le dimissioni non per gli scontrini ma perché incapace».

«Parole che appartengono ai libri di Collodi», il laconico commento di Ignazio, capro espiatorio dei tanti Pinocchio di casa al Nazareno.

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