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Trivelle, Prodi aiuta Renzi e inguaia la minoranza Pd

Il Professore: «Un referendum suicida. Se voto, voto no» Sfiducia su Verdini, la fronda dem è a rischio trappola

Trivelle, Prodi aiuta Renzi e inguaia la minoranza Pd

Che il pretesto sia Verdini o che siano le trivelle, l'obiettivo della minoranza Pd è chiaro, ed è sempre lo stesso: provare a fare lo sgambetto a Matteo Renzi.

Alla vigilia della Direzione Pd di lunedì, che il premier avrebbe voluto di concordia interna per lanciare la campagna elettorale delle amministrative, si cerca invece di alzare la tensione ai massimi livelli, con gli esponenti della fronda bersanian-dalemiana che sparano ben coordinati sul quartier generale, accusando il proprio segretario nonché premier di ogni nefandezza, con toni ormai da guerra civile: i voti di Verdini a sostegno delle riforme sono sterco del demonio; la scelta di astensione nel referendum sulle trivelle è «contro la democrazia», «rinnega la storia della sinistra», è «irresponsabilità politica», è addirittura «anticostituzionale» (pur essendo prevista dalla Carta, ma pazienza).

All'appuntamento di lunedì però Renzi si presenterà forte dei numeri di una salda maggioranza, e soprattutto pronto a scagliare contro la minoranza due dei loro eroi prediletti: Prodi e Cofferati. Ieri infatti il padre dell'Ulivo, cui si richiamano a ogni pie' sospinto i bersaniani, è stato durissimo: «Quel referendum è un suicidio nazionale. Se voto, voto no all'abrogazione». Se voto: il che vuol dire che anche Prodi prende in seria considerazione l'idea di astenersi. Una volta tanto, i renziani sono accorsi in massa ad applaudire l'ex premier. Quanto a Cofferati, il precedente risale al 2003, quando l'allora leader della sinistra Ds si schierò per l'astensione nel referendum sull'articolo 18 promosso da Rifondazione: «Non voterò per un quesito sbagliato e inopportuno», disse, prendendosi gli applausi dell'Ulivo e dei Ds. Due carte che Renzi giocherà lunedì per mettere in risalto le strumentali contraddizioni della minoranza interna.

Che si è convinta di avere una finestra temporale molto breve, di qui al referendum di ottobre sulla riforma costituzionale, per cercare di azzoppare e delegittimare Renzi (cercando di fargli perdere le amministrative e costringendolo ad una guerriglia interna permanente) prima che il premier possa metterli definitivamente all'angolo, cacciandone una buona parte dal prossimo Parlamento.Lunedì dunque la Direzione sarà teatro dell'ennesimo scontro tra l'anima renziana e anti-renziana del Pd. Il presidente Matteo Orfini ricorda perfidamente che fu proprio il capo della minoranza Speranza, allora capogruppo, a «chiederci di votare» lo SbloccaItalia, trivelle comprese. «Se fossimo un partito normale, un referendum contro una legge che abbiamo votato non dovrebbe essere oggetto di discussione. Ma siamo particolari, quindi è giusto che di questo discuta la Direzione».

Si voterà, e come sempre la minoranza si eclisserà dal voto. Cosa che non potrebbe fare invece se davvero la Lega, come ha minacciato, presentasse una mozione di sfiducia in Senato sul caso Verdini: in quel caso i bersaniani dovrebbero decidere se dare la fiducia all'alleanza con l'Uomo nero o votare contro facendo saltare il governo, e i propri seggi.

Non è difficile prevedere cosa sceglieranno.

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