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Troppe incertezze sul Jobs Act: le assunzioni non decolleranno

Il provvedimento è tutto da scrivere, le pressioni di sindacati e sinistra si faranno sentire. E Draghi invade il campo: "Gli elettori devono cacciare i governi che non creano lavoro"

Troppe incertezze sul Jobs Act: le assunzioni non decolleranno

Dentro la scatola del decreto legislativo detto Jobs Act ci può essere di tutto e anche le migliori intenzioni di Matteo Renzi rischiano di svanire alla prova dei fatti. Perché se l'approvazione del decreto è stata una partita politica, anche le fasi successive non saranno da meno. Magari alimentate da timori come quelli che ieri il presidente della Bce Mario Draghi ha cercato di smontare sostenendo che la riforma «non causerà licenziamenti di massa». E avverte: «Gli elettori devono mandare a casa i governi che non sono riusciti ad agire contro la disoccupazione».

Il rischio semmai è che si freni. Sull'articolo 18, ad esempio. Una volta mandato il segnale all'Ue che l'Italia fa sul serio perché rimuove un tabù fino a ieri intoccabile, c'è il rischio che l'entusiasmo riformatore si afflosci. Tutto dipende da come saranno scritti i decreti attuativi, competenza del ministero del Lavoro. Dicastero tradizionalmente sensibile agli umori sindacali e, visto il ministro, democratici. Giuliano Poletti ha già detto che dal reintegro saranno esclusi i licenziamenti economici. Ma questo è già previsto dalla legge Fornero. L'intenzione è infatti quella di semplificare il procedimento previsto per questi casi.

Resta aperta la partita dei licenziamenti disciplinari. Ambienti Ncd davano per certa un'esclusione quasi totale dal reintegro. Poletti ha detto che resterà solo per «i casi più gravi», da intendersi come i casi di licenziamento palesemente infondati. A dovere dimostrare l'infondatezza sarebbe il lavoratore e non il datore a dimostrare il contrario, come avviene ora. Quello che è certo è che l'elenco dei casi in cui potrà valere ancora il vecchio articolo 18 dovrà essere compilato nei prossimi sei mesi e che nel frattempo sindacati e sinistra Pd non staranno a guardare.

La delega prevede che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato diventi quello più utilizzato grazie a l'uso mirato di «oneri diretti e indiretti». Ci sarà sicuramente l'eliminazione di alcuni contratti. Destino segnato anche per i lavori a progetto, il Co.co.pro. Difficile pensare a incentivi di natura fiscale, visto che mancano le risorse. Possibile che i soldi a disposizione siano quelli che il governo ha intenzione di destinare al taglio dell'Irap per le imprese. Oppure, ed è questa un'ipotesi che sta prendendo quota, che alla fine la convenienza sia fatta a spese del datore, fissando dei minimi contrattuali. Quindi una paga minima più alta per i contratti atipici, più bassa per il lavoro senza scadenza. Con qualche rischio. Se si aboliranno veramente i Co.Co.Pro, resterebbero da colpire, rendendoli meno vantaggiosi, solo i contratti a tempo che il precedente decreto Poletti ha semplificato e alleggerito. Facendoli diventare l'unico contratto che continua a riscontrare il favore delle aziende, visto che negli ultimi mesi ha raggiunto quote intorno all'80% delle nuove assunzioni.

Cambierà anche il contratto tipico, perché diventerà a tutele crescenti. Se il modello che il governo intende seguire è quello dei mesi scorsi, per i primi tre anni di lavoro le tutele dello Statuto dovrebbero essere alleggerite. E il lavoratore potrebbe essere licenziato senza rischio reintegra per il datore, ma con un indennizzo che potrebbe essere di cinque giorni di stipendio per ogni mese di lavoro.

Quello che è certo è che, come ha osservato il giuslavorista Michele Tiraboschi, dalla delega non esce una visione certa della direzione che dovrà prendere il mercato del lavoro.

Succederà solo nei prossimi mesi, man mano che la legge sarà attuata, ma nel frattempo c'è il rischio i datori restino alla finestra, rinviando le assunzioni.

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