Cronache

Troppo successo: il Prosecco rischia la "bolla"

Il boom delle vendite spinge le aziende a impiantare vigne ovunque. E la qualità scende

Troppo successo:  il Prosecco rischia la "bolla"

Morire di troppo successo? È il rischio che corre il Prosecco, il vino spumante protagonista della più grande bolla enologica mondiale con mezzo miliardo di bottiglie prodotte ogni anno. L'allarme lo ha lanciato giorni fa il Times, che tiene molto evidentemente alle sorti di un prodotto che quest'anno in Gran Bretagna, con 86 milioni di bottiglie, ha venduto più dello Champagne in termini ovviamente di volume e non di valore (il vino francese costa molto di più). Our thirst for prosecco ravages Italy, titolava il quotidiano britannico, vale a dire: la nostra sete di Prosecco rovina l'Italia. La tesi dell'articolo, non nuova peraltro, è che il successo del Prosecco spinga i produttori a impiantare vigneti di Glera (il vitigno principale) in zone non particolarmente vocate, accanto a strade, case, scuole, industrie. Ovunque. E con trattamenti quanto meno disinvolti. Produrre, produrre, produrre. Oceani di bionde bollicine che inondano il mondo e lo inebriano. Purché non si guardi al dopo-sbornia: livello qualitativo sempre più basso, prezzi sempre più alti, stravolto il panorama di due regioni, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

Il disciplinare edifica una piramide produttiva assai dettagliata ma ignota ai più. Il grosso della produzione attiene alla Doc Prosecco (nata appena sette anni fa), che comprende l'intero territorio del Veneto (eccetto le province di Rovigo e Verona) e del Friuli-Venezia Giulia. Un'area enorme, pari a circa il 7 per cento dell'intera Italia, nella quale c'è davvero di tutto. Il gradino superiore è la Doc Treviso, quindi si sale alle due Docg: quella Asolo, piuttosto ristretta, e la più celebre Conegliano-Valdobbiadene, generalmente definita «Superiore», che raggiunge vette qualitative notevoli a prezzi naturalmente più alti. Esistono poi due sottodenominazioni del Prosecco Docg Conegliano-Valdobbiadene, quasi due «cru»: Rive e Cartizze, quest'ultima una collina magica di 107 ettari da cui arrivano piccoli capolavori che sarebbe un peccato confondere con il resto. «La docg Conegliano-Valdobbiadene - ci dice il presidente del consorzio della Docg Innocente Nardi - è un'area che dalla creazione della denominazione nel 1969 non ha mai allargato i propri confini nonostante il progressivo aumento delle vendite. L'espressione di un territorio italiano che abbiamo proposto come candidato a patrimonio dell'Unesco».

Magnifico. Peccato che le differenze tra Docg e Doc, tra Prosecco di collina e di pianura, siano «asfaltate» dal nome Prosecco. Perché preoccuparsi di guardare quella astrusa sigla (Docg) quando quello che conta è avere nel bicchiere una bollicina che solletica la lingua e non costa troppo?

Da qui la bolla delle bolle. Un mese fa una puntata prevedibilmente allarmistica di Report ha sollevato il solito polverone depostosi il quale sono però rimasti i problemi noti. A cui si aggiunge l'arrabbiatura della località triestina di Prosecco, da cui prende il nome, che pretende della royalties sul toponimo e intanto ha preso a produrlo in proprio grazie all'intraprendenza di Andrej Bole, Rado Kocjancic e Tanja Zahar. Mentre i «poliziotti» del Prosecco vanno in giro per i bar del Veneto a verificare che venga servito prodotto autentico e non scopiazzato. Cin cin. E boom boom.

AnCu

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