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Trump e la Clinton senza veri avversari. Eppure non sfondano

Rubio getta la spugna, ma Cruz e Kasich restano in gara. In casa democratica Sanders perde con onore e tira dritto

Trump e la Clinton senza veri avversari. Eppure non sfondano

«Stiamo vincendo malgrado i reporter che fanno veramente schifo. I giornalisti sono disgustosi. Beh, oddio, non proprio tutti, qualcuno si salva, ma la maggior parte fa schifo». La folla delira. The Donald è carico come una bomba, è allegro, travolgente, trascinante e coloro che stanno ancora lavorando per farlo fuori, in campo repubblicano, masticano amaro. Il tycoon, il costruttore, lo stramiliardario che vive a Palm Beach in una magione di oltre cento camere con un maggiordomo che conosce ogni dettaglio dei suoi gusti, dal cibo al sonno alle cravatte, ha ingranato la sua marcia in più e dà la sensazione di chi è sicuro di farcela.

È andata per lui bene, ma non benissimo: ha travolto il senatore della Florida Marco Rubio prendendo il doppio dei suoi voti, ha vinto a mani basse in Illinois e North Carolina, ma ha perso l'Ohio che ha dato la maggioranza repubblicana al governatore John Kasich, anche lui in lizza per la Casa Bianca. Perché ha perso? Perché quello dell'Ohio è un elettorato ricco, redditi che viaggiano sui centomila dollari l'anno a testa, mentre Trump si rivolge a un target elettorale molto più basso: quello da cinquantamila dollari, bianco e furioso con i democratici, perché finora aveva sempre votato democratico e non ne può più delle tasse e della corruzione dei politici. Avrebbe conquistato la certezza dell'incoronazione ufficiale alla Convention di luglio che però potrebbe diventare una contested convention, in cui nessun concorrente ha un numero di delegati schiacciante e alla fine si dovrebbe raggiungere un accordo politico. Ma lo scenario di oggi dice che comunque non sarà possibile buttare fuori dalla corsa Trump sulla cresta dell'onda.Sul fronte democratico, nulla di eccitante: la Clinton si è presa la sua vendetta dopo la batosta che le aveva inflitto Bernie Sanders nel Michigan, e conquista i democratici della Florida, del North Carolina e dell'Ohio. E se sul fronte repubblicano restano testardamente in lizza Ted Cruz (quello che arrostisce il bacon arrotolandolo sulla canna del suo mitra) e John Kasich, il governatore vincente dell'Ohio, che hanno possibilità pari a zero virgola, in campo democratico Sanders continua la sua marcia trionfale e gloriosa ma senza alcuna speranza. Il suo slogan: «Non fidatevi mai di chi ha più di trent'anni, a meno che non si chiami Bernie Sanders». È diventato un predicatore laico dai capelli banchi, una sorta di Bertrand Russell americano che sa di non poter arrivare mai alla Casa Bianca, ma che è felice di aver creato un elettorato nuovo, socialista come dice lui, ma più che altro indipendente dalle corporation, indifferente ai finanziatori miliardari, non seducibile, non in vendita.

È strano considerare che su questo punto «l'estremista di destra» Trump dica le stesse cose dell'estremista di sinistra Sanders. L'America che sta cambiando pelle non ne vuole più sapere di essere comperata e corrotta dai finanziamenti folli, centinaia e centinaia di milioni gettati al vento, sottoscrivendo compromessi opachi. Trump ripete ogni giorno come un mantra che lui paga tutto di tasca sua, non chiede soldi, non vuole soldi e per questo è libero. Lo ha fatto due giorni fa parlando agli ebrei americani repubblicani (la maggior parte degli americani di religione ebraica vota democratico e considera il voto repubblicano un'avventura troppo rischiosa) ai quali gaffe ha detto «Hey, you guys, I don't want your money», ragazzi non voglio i vostri soldi perché lavoro con i miei. Questa allusione ai soldi e agli ebrei ha suscitato ventate di riprovazione e di irritazione, ma l'assemblea che aveva di fronte sembrava molto felice di quel che diceva il candidato dalla strana zazzera (è accertato che si pettina da solo e che lo stile dei suoi capelli è proprio il suo) e applaudiva. Trump si presenta come l'uomo dei miracoli: «Sono un mediatore, no? Un uomo d'affari che altro fa se non mediare? E allora bisogna chiudere questa guerra in Medio Oriente ed è chiaro che ognuno deve rinunciare a qualcosa, penso a tutto io».

Ma il punto politico che emerge a destra come a sinistra in America è che l'antipolitica ha fatto passi da gigante, benché resti ancorata allo schema di gioco noto. Trump ha occupato il partito repubblicano e quel partito si è impegnato, se lui sarà il vincitore, a sostenerlo in blocco. Probabilmente ciò non accadrà, ma formalmente la frattura tra conservatori in grisaglia e tempie brizzolate e il variopinto Trump, dovrebbe ricomporsi, anche se in una tempesta di malumori. Ma quante probabilità ha Trump di battere Hillary Clinton? Sulla carta poche. L'ex segretario di Stato, ex First Lady, ex avvocato di grido potrebbe farcela senza troppe preoccupazioni se non fosse emerso il fatto nuovo: il ritorno alle urne di milioni di americani che avevano smesso di votare o che non hanno mai votato prima. Sia i giovani del primo voto che i renitenti alle urne si sono iscritti a milioni e novembre sarà un mese di novità epocali per questo Paese che premia i due radicalismi, di destra e di sinistra, castigando i candidati rimpinzati di milioni di dollari delle grandi aziende, come Marco Rubio e Jeb Bush.

Anche Hillary soffre per la sua compromissione con l'establishment, è vulnerabile, lo sa e arranca vincendo ma non in modo travolgente.

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