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Trump esulta per la pace Presto il vertice con Kim (ma con molti dubbi)

La volontà di disarmo di Pyongyang è incerta E ora anche la Russia vuole entrare in gioco

Trump esulta per la pace Presto il vertice con Kim (ma con molti dubbi)

Il giorno dopo la calorosa stretta di mano tra i leader delle due Coree che promette di inaugurare una nuova era nella penisola e in Estremo Oriente, Donald Trump alza la cornetta per telefonare a due importanti alleati. Parla con Moon Jae-in, il presidente della Corea del Sud, e con Shinzo Abe, premier del Giappone. Poi affida la sintesi di quei colloqui al suo mezzo di comunicazione preferito: Twitter. «Sta andando tutto bene - scrive il presidente degli Stati Uniti - e stiamo preparando data e luogo dell'incontro con i nordcoreani».

Un dettaglio dell'asciutto testo trumpiano evidenzia una differenza interessante: con Moon viene registrato «un lungo colloquio, molto positivo», mentre Abe è stato «informato dei negoziati in corso». Differenze che confermano il diverso stato d'animo dei leader di Seul e di Tokio: il primo su di giri e ottimista per la piega presa dagli avvenimenti di cui è protagonista, il secondo scettico e guardingo poiché teme che Trump conceda troppo a Kim Jong-un e metta a rischio la sicurezza del Giappone.

Quanto l'emozione suscitata dalle immagini dell'incontro di Panmunjom sarà rientrata, apparirà chiaro che c'è ancora molto lavoro da fare per poter parlare di pace in Corea. E che di tutti i protagonisti di questa complessa vicenda - i due leader coreani, quello americano, quello cinese e quello giapponese - è proprio Donald Trump ad aver più da preoccuparsi, se non da temere. Il primo grattacapo è quello della denuclearizzazione della penisola coreana: ieri i media di Pyongyang hanno dato notizia dell'impegno preso da Kim in tal senso, e questo è stato considerato da molti una sorpresa positiva. In realtà, la prospettiva del completo ritiro delle armi nucleari dalle Coree potrebbe rivelarsi una trappola per Trump: preso dall'entusiasmo per il disarmo al 38° parallelo, lo stesso Moon potrebbe infatti pretendere da Washington di accettare la più che probabile pretesa di Kim di compensare lo stop (magari anche solo parziale o temporaneo) del suo programma militare nucleare con il ritiro dell'armamento atomico neanche tanto segretamente connesso al contingente Usa presente in Sud Corea. Trump dovrà quindi muoversi con molta cautela.

Il secondo problema è rappresentato dalla Cina. Xi Jinping si è fin qui mosso con una certa ambiguità, ma ha di fatto aiutato Trump a «far ragionare» l'alleato di Pechino Kim Jong-un che stava esagerando con i suoi giochi di guerra. Ora che si sta arrivando alla resa dei conti, però, vuole il suo tornaconto: e non è escluso che questo consista nell'attirare nella sua orbita, dopo aver conseguito una qualche forma di riunificazione coreana, il nuovo soggetto non più sotto l'ombrello americano.

Il terzo problema si chiama Vladimir Putin: la Russia, lasciata fuori dai negoziati di queste settimane, reclama un ruolo. Lo ha fatto ieri ricordando che «l'unico formato per il dialogo coreano e quello a sei, già collaudato, con le due Coree, Usa, Russia, Cina e Giappone». Bisognerà attendersi mosse anche spiazzanti da parte del Cremlino.

Last but not least, il rischio - serissimo - che le belle parole e i fotogenici abbracci a Panmunjom non producano nulla di concreto. Un Trump eventualmente scornato dal rifiuto di Kim a un serio disarmo potrebbe trovarsi «costretto» a rivestire i panni del Commander in Chief tutto missili e cannoni per difendere la Patria americana.

Ieri il capo del Pentagono James Mattis ha garantito al collega sudcoreano il suo «impegno di ferro» alla difesa di Seul.

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