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Trump esulta: lo scandalo delle email riapre la partita

A dieci giorni dal voto lo scarto nei sondaggi si riduce a 2 punti. Hillary si difende attaccando: pubblicate tutto

Trump esulta: lo scandalo delle email riapre la partita

A dieci giorni dalle elezioni si riapre la partita per la conquista della Casa Bianca con il supplemento di indagine dell'Fbi sulle email di Hillary Clinton. Dopo i ripetuti attacchi sui presunti comportamenti sessisti che sembravano aver messo definitivamente fuori gioco il candidato repubblicano, Donald Trump, è questa volta l'ex First Lady a finire all'angolo per fatti poco inerenti ad aspetti prettamente programmatici della politica. È ancora uno scandalo a condizionare le sorti di queste presidenziali americane decisamente sui generis, dove i contenuti sono spesso sacrificati al cospetto di questioni lontane dalle reali esigenze del Paese e dei suoi cittadini.

A turbare il sonno della Clinton è la faccenda dell'email privata usata quando era segretario di Stato, un braciere rimasto acceso nonostante l'archiviazione dell'indagine e pronto a divampare nuovamente. E questa volta il ritorno di fiamma potrebbe pesare seriamente sulla battaglia per la Casa Bianca, a maggior ragione vista la rimonta nei sondaggi di Trump rispetto alle scorse settimane: secondo una proiezione nazionale targata Abc/Washington Post il distacco tra i due rivali si è ridotto a soli due punti percentuali, con la Clinton al 47% e il tycoon al 45%. Peraltro sono dati raccolti tra il 24 e il 27 ottobre, prima quindi dell'annuncio dell'Fbi sulla riapertura dell'inchiesta. Per Trump si tratta dell'attesa e rancorosa rivalsa dopo gli attacchi incrociati subiti nelle settimane passate. «È il più grande scandalo politico dai tempi del Watergate, tutti sperano che giustizia sia fatta, la giustizia prevarrà», gongola il miliardario newyorkese durante un comizio in Iowa. Mentre la manager della sua campagna, Kellyanne Conway, scrive su Twitter che «è un grande giorno».

The Donald, parlando con i sostenitori, attribuisce alla Clinton «una corruzione su una scala mai vista prima», e si dice «contento che l'Fbi stia ponendo rimedio a tutti gli orribili errori fatti». Per Hillary invece, che ormai riteneva quasi archiviata la partita, tanto da prodigarsi anche per la vittoria dei colleghi democratici in Congresso, è una doccia fredda che potrebbe compromettere la sua cavalcata verso Pennsylvania Avenue. L'ex first lady reagisce attaccando, e sfida l'Fbi a pubblicare tutto il materiale: «Mancano dieci giorni a quella che è forse l'elezione più importante delle nostre vite, il voto è già in corso, e il popolo americano merita di avere immediatamente i fatti al completo», chiosa. «Lo stesso direttore Comey ha detto di non sapere se le mail cui si fa riferimento nella lettera siano rilevanti o meno, io sono certa che qualsiasi esse siano non cambieranno le conclusioni raggiunte a luglio - continua -. È perciò imperativo che il Bureau spieghi la questione senza ritardi».

Il manager della campagna elettorale della candidata dem, John Podesta, definisce «straordinario che si debba vedere una cosa simile emergere a dieci giorni dalle elezioni presidenziali». Anche per il New York Times Comey deve fornire maggiori informazioni e deve farlo in fretta, poiché è quanto «gli americani meritano». Il quotidiano non si esprime sull'impatto che la vicenda potrebbe avere sull'esito delle urne, ma afferma con chiarezza che «in mancanza di maggiori informazioni è impossibile per gli elettori valutare la rilevanza di questi sviluppi». E sulla «bomba di ottobre» interviene pure Carl Bernstein, colui che insieme all'altro cronista del Washington Post, Bob Woodward, fece esplodere lo scandalo che nel 1974 portò alle dimissioni del presidente Richard Nixon. La riapertura dell'inchiesta «non è un Watergate», spiega, anche se non sarebbe avvenuta «se non ci fosse qualcosa di veramente serio». «Le email sono sempre state la più grande minaccia alla candidatura di Hillary, e la sua condotta al riguardo è veramente indifendibile - precisa Bernstein -.

Non sappiamo ancora cosa significhi la scelta di Comey, ma di certo è una notizia esplosiva, una decisione che il capo dell'Fbi non avrebbe preso se non si fosse trattato di qualcosa che richiede un'indagine seria».

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