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"Trump mi chiese di insabbiare l'inchiesta"

L'ex direttore dell'Fbi Comey conferma le accuse al presidente. Che ora rischia l'impeachment

"Trump mi chiese di insabbiare l'inchiesta"

New York - Per Donald Trump è giunto il momento della verità, e la Casa Bianca trema. L'ex direttore dell'Fbi James Comey testimonia in queste ore davanti alla commissione Intelligence del Senato, e secondo le anticipazioni della dichiarazione diffuse dai media, è pronto a rivelare che il presidente gli chiese quando era a capo dell'Fbi di insabbiare l'inchiesta sul Russiagate e abbandonare le indagini sull'ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Sette pagine esplosive, che potrebbero aprire la strada dell'impeachment per il tycoon, come già evocato a più riprese dai suoi avversari politici. Trump ha deciso di non bloccare la deposizione di Comey, rinunciando a far ricorso al «privilegio esecutivo», ma le parole dell'ex direttore del Bureau potrebbero segnare l'inizio della fine della sua presidenza.

Al centro ci sono in particolare le indagini in corso su Flynn, costretto alle dimissioni nell'ambito dello scandalo sui presunti legami tra membri della campagna elettorale del magnate e uomini del Cremlino. «Donald Trump mi ha chiesto di lasciare andare le indagini su Flynn - spiega Comey secondo le anticipazioni della dichiarazione - È un bravo ragazzo, mi ha detto». Quanto all'inchiesta sulla Russia, poi, gli avrebbe domandato di «togliere la nube» che comprometteva la sua capacità di agire per il Paese. E ancora, durante una conversazione del 27 gennaio scorso, il Commander in Chief gli ha chiesto lealtà: «Ho bisogno di lealtà, mi aspetto lealtà». Comey fa riferimento alla famosa cena a due con Trump alla Casa Bianca, durante la quale The Donald gli domandò anche se intendeva restare alla direzione dell'Fbi. L'ex direttore gli disse anche che in quel momento non era oggetto dell'inchiesta sul Russiagate, e nella dichiarazione dovrebbe confermare che con lui ebbe nove colloqui «face to face» in quattro mesi, di cui tre in persona e sei al telefono. L'ultimo contatto risale all'11 aprile, ribadisce, quando «il presidente mi ha chiamato chiedendo cosa avessi fatto sulla sua richiesta».

Le anticipazioni della deposizione di Comey, considerata una delle più attese audizioni in Senato da decenni a questa parte, sono definite «inquietanti» dal senatore John McCain, e oscurano le parole di Michael Rogers, capo della National Security Agency, e Dan Coates, direttore della National intelligence, i quali davanti alla stessa commissione del Senato hanno detto di non aver mai ricevuto ordini per fare alcunché di illegittimo, né di essersi mai sentiti sotto pressione.

Ma soprattutto oscurano l'annuncio del tycoon sulla nomina di Christopher A. Wray come nuovo direttore dell'Fbi: «Una persona dalle credenziali impeccabili», afferma su Twitter. Wray, 57enne laureato in legge a Yale e procuratore federale ad Atlanta, dal 2003 al 2005 è stato numero due al Dipartimento di Giustizia, dov'era responsabile della divisione criminale. Poi è passato allo studio legale internazionale Kink & Spalding e ha difeso anche il governatore del New Jersey Chris Christie, nel Bridgegate. Intanto, alla vigilia dell'audizione di Comey, un'altra grana arriva dal ministro della Giustizia Jess Sessions, che sarebbe pronto a lasciare l'incarico sulla scia delle tensioni con il presidente, nate proprio a causa delle indagini sulla Russia. Sessions, contrariamente alla volontà di Trump, ha deciso infatti di astenersi dall'inchiesta, aprendo la strada alla nomina di un procuratore speciale. Una scelta che il Commander in Chief avrebbe vissuto come un tradimento e che ha causato diverse tensioni tra i due, culminate nelle critiche nemmeno troppo velate del tycoon su Twitter, riguardo il «travel ban».

«Il Dipartimento di Giustizia avrebbe dovuto mantenere il bando originale - ha scritto Trump attaccando indirettamente il ministro - non la versione annacquata e politicamente corretta presentata alla Corte Suprema».

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